1 / 108

Teorie dello sviluppo e della crescita: concetti e strumenti

Teorie dello sviluppo e della crescita: concetti e strumenti. 2.1. Crescita o sviluppo La comprensione della crescita della ricchezza, individuale e collettiva, è alla base della scienza economica che si interroga sulle cause, le conseguenze, le modalità e i sistemi a essa connessi .

colin
Download Presentation

Teorie dello sviluppo e della crescita: concetti e strumenti

An Image/Link below is provided (as is) to download presentation Download Policy: Content on the Website is provided to you AS IS for your information and personal use and may not be sold / licensed / shared on other websites without getting consent from its author. Content is provided to you AS IS for your information and personal use only. Download presentation by click this link. While downloading, if for some reason you are not able to download a presentation, the publisher may have deleted the file from their server. During download, if you can't get a presentation, the file might be deleted by the publisher.

E N D

Presentation Transcript


  1. Teorie dello sviluppo e della crescita: concetti e strumenti

  2. 2.1. Crescita o sviluppo • La comprensione della crescita della ricchezza, individuale e collettiva, è alla base della scienza economica che si interroga sulle cause, le conseguenze, le modalità e i sistemi a essa connessi. • Il concetto di crescita è stato interpretato e definito in molti modi conseguenti le fasi evolutive delle teorie, dei cicli economici, della politica e dell’evoluzione delle società. • Si tratta di uno dei capisaldi della modernità occidentale che dà significato al tempo contemporaneo e alle sue inflessioni geografiche.

  3. tra il XVIII e il XIX secolo, in rapporto con le accelerazioni della Rivoluzione industriale, promotrice di analisi, teorie e speranze gli economisti (e non solo) si rendono conto che la ricchezza, fino ad allora rurale o mercantile e spinta alla soddisfazione di bisogni essenziali, può crescere in maniera esponenziale all’aumentare e al diversificarsi delle produzioni. • Principale ricaduta concettuale di tale spirito rivoluzionario risiede nell’idea che maggiori quantità di ricchezza offrano migliori condizioni di vita in termini politici, sociali, di dominio, di benessere.

  4. La crescita economica risulta dall’aumento proporzionale delle quantità di fattori di produzione (terra, capitale e lavoro) necessari per ottenerla (crescita estensiva); o più che proporzionale (crescita intensiva). • Nel secondo caso essa è determinata in ragione d’una maggiore efficienza nell’utilizzo dei fattori di produzione e, dunque, principalmente promossa dall’innovazione del processo produttivo o dal miglioramento dell’organizzazione del lavoro.

  5. Tutto ciò ha a che vedere con le condizioni, il costo, le regole, la disponibilità e le logiche del mercato del lavoro e dei lavoratori. • Un sistema economico cresce quando produce un progresso delle sue quantità di ricchezza in volume o in valore (scheda 2.1) e nel momento in cui tale maggiore produzione di ricchezza è in grado di riarticolare, in termini di maggiore produttività, il rapporto tra PIL e fattori di produzione: a più alta flessibilità corrisponderà un maggiore sfruttamento dei vantaggi comparati di sistema (costo del lavoro); a significative libertà normative, seguiranno più ampie liberalità per le posizioni dominanti.

  6. Scheda 2.1. Il Valore Aggiunto e il PIL • Valore aggiunto • Il concetto di Valore aggiunto è dato della differenza tra il valore dei beni e servizi prodotti (output) da una azienda e il valore dei beni e servizi che detta azienda acquista all’esterno (input). Ovvero, il valore aggiunto è pari alla differenza tra ciò che paga l’utilizzatore di un determinato bene (o servizio) e ciò che il produttore dello stesso bene (o servizio) ha pagato per acquisire l’input. • Il valore aggiunto può essere calcolato: • per sottrazione, deducendo dal valore della produzione complessiva il valore di tutti i fattori acquistati dall’esterno ed effettivamente utilizzati nel processo produttivo; • per somma,addizionando i seguenti costi: • retribuzioni del lavoro e oneri sociali, • interessi passivi (in dottrina vi è dubbio se appartengano al V.A. o all’input, anche se non muta il V.A. aggregato), • ammortamenti, • utile netto d’impresa, • imposte dirette • il metodo della determinazione del valore aggiunto per somma consente di conoscere la destinazione del valore aggiunto stesso tra le diverse componenti d’impresa e la distribuzione della ricchezza che ne deriva. • il totale dei valori aggiunti prodotti da tutte le imprese del sistema economico di un paese corrisponde al suo Prodotto Interno Lordo (PIL).

  7. Prodotto Interno Lordo • Il PIL è considerato la misura della ricchezza prodotta in un paese e corrisponde al valore della produzione totale complessiva di tutti i beni e i servizi finali prodotti di un paese in un certo intervallo di tempo (l’anno). Dal totale va sottratto il valore dei consumi intermedi inter-industriali (parte della produzione riutilizzata e scambiata tra le imprese stesse). • Tale ammontare di ricchezza è calcolato in base ai prezzi di mercato e, per questo, ad esso vanno sommati il totale dell’IVA e quello delle imposte indirette sulle importazioni che intervengono, aumentandoli, nella formazione dei prezzi stessi. • Il prodotto si definisce internoperché è relativo a tutta la produzione di un determinato territorio-paese e non del complesso dei suoi abitanti, (che possono produrre valore anche all’estero); • è lordoin quanto il suo ammontare non tiene conto dell’ammortamento dei beni strumentali impiegati nella produzione. • Il calcolo del PIL può prodursi, così, in ragione • dei valori aggiunti (valore della produzione al netto del valore dei beni intermedi); • ragione dei redditi (la differenza tra il valore della produzione e quello dei beni intermedi si suppone pari al reddito distribuito in salari e in profitti). • Per riassumere la ricchezza di un paese è possibile, infine, calcolare il PIL anche attraverso la somma della spesa complessiva per consumi, presupponendo che il valore totale dei beni e dei servizi finali corrisponda alla spesa per consumi delle famiglie. In realtà, a questo valore andrebbe aggiunta la spesa in macchinari, impianti e immobili sostenuta dalle imprese.

  8. Tale concezione classica viene tradotta nella definizione sinonimica di sviluppo avanzando fino a precisare il suo carattere necessario e naturale all’interno delle leggi sociali: • Superando la concezione della natura divina dei processi evolutivi, tale elaborazione riconosce all’uomo la centralità nella costruzione del suo futuro. • Un approccio che richiama l’evoluzione degli organismi naturali, sancisce la normalità di quelli sviluppati e segna, interpretata in termini passivi, l’anomalia di organismi “non sviluppati”.

  9. Sviluppo e civiltà. nell’esigenza dello sviluppo si coniuga il doppio compito della crescita della produzione e del progresso sociale per equiparare il livello della ricchezza al grado di “civilizzazione” misurato in comportamenti, pratiche, relazioni e usi. • Il connotato biologico del concetto di sviluppo induce, così, una sua “dimensione obbligatoria”costringendolo in termini di naturalità: • per Aristotele la Natura è l'ordine tendente a un fine, “lo sviluppo è definito dal fatto stesso di raggiungere tale fine, in quanto norma naturale dell’essere considerato” (Castoriadis, 1977, p. 212).

  10. L’assunzione della crescita/sviluppo come cardine del miglioramento delle condizioni di vita dei singoli e delle società non risolve in sé le questioni inerenti la sua resa materiale o la sua diffusione territoriale ponendo dubbi • sulla capacità di controllare la sua reale dimensione quantitativa (quanto si cresce?)”; • di indirizzare il suo contenuto qualitativo (chi è migliorato e in cosa?); • di incidere nella sua ripartizione (la condivisione diffusa della ricchezza) (Gadrey, 2005, in Latouche, 2007 p. 9).

  11. la crescita economica non si lega all’equità del processo di distribuzione della ricchezza né alla sua trasformazione effettiva in benessere diffuso. • i teorici della crescita delegano alla capacità regolatrice del mercato e della politica il compito di diffondere i benefici dell’aumento quantitativo della ricchezza, pur nel presupposto di reiterare le pre-condizioni e rendere quest’ultimo sempre rinnovabile.

  12. Nonostante tali limiti d’ordine politico, la nozione quantitativa di crescita/sviluppo non esaurisce la sua forza innovativa e genera un cambio di prospettiva strategica, etica, entusiastica. • A partire dalla rivoluzione della modernità, l’aumento della ricchezza di una popolazione acquisisce caratteri filosofici taumaturgici attraverso i quali “i dispositivi di potere e di sapere prendono in conto i « processi della vita » e la possibilità di controllarli e di modificarli: l’uomo occidentale impara man mano cosa vuol dire essere una specie vivente in un mondo vivente, avere un corpo, una salute individuale e collettiva, delle forze che si possono modificare...” (Foucault, 1985, p. 187)».

  13. E’ una vera e propria reificazione della relazione tra l’uomo e l’organizzazione dei sistemi sociali attraverso la quale le comunità umane “materializzano” la propria concezione in senso illuminista e promuovono una decisa assunzione di responsabilità del benessere: “l’uomo per millenni è rimasto ciò che era per Aristotele: un animale vivente e, in più, capace di un’esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua stessa vita di essere vivente" (ibidem, 188).

  14. Di contro, in tale processo è insito il rischio dell’astrazione del singolo dalle proprie qualità umane, in particolare nella equiparazione del lavoro a merce (meglio, rispondente alle stesse leggi di mercato), e “disumanizzare” così la vita stessa, almeno delle classi lavoratrici.

  15. D’altra parte risulta agevole l’assioma che lega l’esigenza della crescita allo stimolo inappagabile dell’evoluzione accrescitiva: • Se per gli esseri viventi il fine naturale è un processo attraverso il quale “vengono liberate le potenzialità di un oggetto o di un organismo fino a raggiungere la loro forma naturale, completa, definitivamente evoluta”(Sachs, 1998, p. 350), per gli uomini, e le loro forme aggregative, tale stadio non può essere raggiunto perché impossibile da fissare o delimitare;potrà evolvere solo tautologicamente; non potrà completarsi se non nella sua continua reiterazione.

  16. Così, nel concetto di sviluppo risultano necessariamente incorporati molti significati. • Le società “sviluppate” appaiono e sanno di essere evolute e mature, ma in realtà sono soprattutto in grado di riprodurre la loro crescita. • Parallelamente, per tutte le altre, ancora immature, diviene certo il contrario: “la parola sviluppo implica sempre un cambio favorevole, una scala dal semplice al complesso, dall’inferiore al superiore, dal peggiore al migliore …. Indica che si sta agendo bene, perché si sta avanzando nella direzione di una necessaria, ineluttabile universale legge e verso un obiettivo desiderabile”(Sachs, 1998, p. 354).

  17. Nel piano strettamente concettuale, e in termini quantitativi, la crescita/sviluppo rappresenta un processo “che si traduce nell’aumento, nel lungo periodo, di un indicatore rappresentativo della produzione di ricchezza di un paese”, definizione che nel 1961 F. Perroux concepisce in una articolazione più significativa: • “l’accroissement durable de la dimension d’une unité économique, simple ou complexe, réalisé dans des changements de structures et éventuellement de système, et accompagné de progrès économiques variables”. (l’accrescimento duraturo della dimensione di una unità economica, semplice o complessa, realizzato attraverso dei cambiamenti di struttura e eventualmente di sistema, e accompagnato da progressi economici variabili”. Si assegna definitivamente allo sviluppo, e in maniera scientificamente autorevole, il compito di modificare profondamente le società: a queste non basta crescere, bisogna che al loro progresso economico corrisponda una evoluzione in termini di • redditi reali, • condizioni di vita, • benessere, • qualità culturali, • libertà individuali e collettive, • formazione, • sanità ecc.

  18. l’esigenza di comparare tra loro le economie tradurrà le differenze in valori quantitativi equiparando: società, Stati, spazi e generalizzando l’adozione di un concetto nuovo per le scienze sociali per quanto noto alle scienze esatte. • L’esperienza coloniale della fine del secolo XIX sarà illuminante e strettamente connessa alla logica della crescita come modello da perseguire. • La colonizzazione imperialista dei territori africani e asiatici propagandava la “missione” di garantire alle popolazioni locali il progresso tecnologico, economico e sociale, assicurando livelli minimi di nutrizione, salute e istruzione e portava con sé l’inevitabile corredo di teorie deterministiche collegate alla progressiva opera di “civilizzazione”. • Discorso politico-umanitario dalle scarse virtù applicative visto che, a ben guardare, il mito della crescita non corrisponde automaticamente al miglioramento delle condizioni economiche.

  19. La situazione politica delle Americhe nel 1750.

  20. Nei fatti, e con il senno del poi, è chiaro che l’evoluzione delle società europee e mondiali non abbia dato ragione alle teorie e ai propositi della politica. • alla crescita quantitativa, soprattutto congiunturale, dell’economia della prima metà del XX secolo non segue un pari miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, igieniche, sanitarie, relazionali, libertarie. • Fenomeno confermato anche dal decremento del PIL pro/capite negli anni 1913-1950 rispetto al quarantennio precedente (figura 2.1); e che lascia maturare considerazioni meno universali e più legate a condizioni di potere e controllo: “la crescita è semplicemente un obiettivo politico immediato che serve agli interessi delle minoranze dominanti” (Mansholt, citato in Latouche, 2007, p. 15).

  21. L’invenzione del sottosviluppo: modernizzazione e dipendenza • A partire dagli anni Cinquanta lo sviluppo diviene il termine per rivelare (e rilevare) il suo contrario, ovvero l’immaturità e l’arretratezza del sottosviluppo. • L’idea dell’esportazione della civiltà, per molti secoli al centro della politica coloniale, si adeguerà alla “concessione”dello sviluppo ai paesi considerati immaturi quando solo sfiorati dalla modernità occidentale. • Assolvendo il compito dello sviluppo economico dei popoli colonizzati, ci si convince di garantire il benessere che loro mancava.

  22. È uno schema concettuale sostanziato nell’ipotesi che la logica occidentale componga il metro giusto per poter valutare il resto del mondo e che, una volta strutturato il “sistema economico liberale e mondiale”(Gilpin, 2002; Golub, 2007) abbia “creato legami d’interdipendenza mondiali e complementarità positive basate sui vantaggi fattoriali”(Golub, 2007) (teoria dei vantaggi comparati). • In quest’ottica il sistema avrebbe scatenato un coinvolgimento progressivo di opportunità di crescita e di sviluppo per tutti i territori ancora classificati come pre-moderni o arretrati. • Con cicli successivi e cadenzati che vanno dal sistema inglese (antecedente la grande guerra), alla dominazione statunitensee sovietica (secondo dopoguerra), tale contagio di modernizzazione si sarebbe affermato definitivamente fino a espandersi, in seguito alla caduta del muro di Berlino, anche nelle neo-capitaliste Cina e India, strutturandosi attraverso la liberalizzazione globale dei mercati e il superamento progressivo delle regole del sottosviluppo.

  23. Tale modernità occidentale assurge a un piano mitico propagato alla realtà degli spazi mondiali con potenza almeno pari, se non maggiore, a quelle della politica, dell’economia, della scienza. mitizzazione imposta agli Orienti o ai Sud del mondo proponendone una critica di ordine concettuale (vedi scheda 2.2) e, soprattutto, valutandone l’evidente insuccesso empirico. il processo di modernizzazione esteso all’intero mondo, pur avverandosi, non abbia prodotto i risultati propagandati e attesi del “fine” del raggiungimento dello sviluppo, quanto soprattutto reiterato le distanze.

  24. Scheda 2.2 – Critiche al mito dello sviluppo – Golub e Bairoch, le considerazioni rilevano di tre elementi: 1. tale meta-racconto ignora tutto ciò che è avvenuto nel mondo prima della rivoluzione industriale europea, come se la storia moderna fosse cominciata soltanto con l’ascesa dell’Occidente e la sua irruzione sulla scena mondiale. prima della rivoluzione industriale europea, il mondo non era verticale, gerarchico ed accentrato, ma orizzontale, decentrato e policentrico. fino alla fine del XVIII secolo, non c’erano un sistema e un mondo al singolare, ma sistemi e mondi al plurale. non esisteva un’economia mondiale, ma una molteplicità di "economie mondo" (l’Europa, la Cina, l’India, l’Impero Ottomano, ecc.) nel senso braudeliano del termine – per cui "l’economia di una parte soltanto del pianeta forma un tutto economico” ogni economia-mondo comprendeva al proprio interno l’organizzazione e la divisione del lavoro, le conoscenze scientifiche e le capacità tecnologiche; tra le diverse economie mondo c’erano contatti, connessioni, interrelazioni, scambi e fusioni,pur senza una vera e propria dimensione globale. il racconto mitico occulta il fatto che le economie mondo che prosperavano in Asia avevano strutture economiche, produttive e commerciali di livello equivalente o persino superiore rispetto alle economie-mondo europee.

  25. 2. il meta-racconto in questione ignora il ruolo della violenza e della coercizione nell’espansionismo europeo in Asia (e altrove) nel corso del XIX secolo. Sebbene i fattori esogeni non possano spiegare interamente il declino relativo dell’Asia nell’Ottocento, l’imperialismo resta comunque una variabile esplicativa determinante. 3. il meta-racconto in esame ignora il carattere per nulla liberale dell’espansione capitalista che ha avuto luogo, alla fine del XIX secolo, in Europa e negli Stati Uniti, dove il liberalismo era fortemente limitato sia nello spazio sia nel tempo.

  26. la costruzione del mito occidentale ha consentito schemi narrativi “in grado di ordinare la realtà disordinata e conferire un significato ontologico alla storia, alla società, alla vita e al mondo intero” (Golub, 2007) Ontologico: Che si riferisce all'essere in generale, alle sue strutture immutabili, oggettive e reali; che riguarda l'ontologia b. le dinamiche economiche del Novecento tutto e del suo prolungamento post-globale, non hanno inciso profondamente negli s/e-quilibri “dell’ingiusto e enorme contrasto economico tra due gruppi di paesi: quelli ricchi e dominanti, e quelli poveri che risultano dominati”(Lacoste, 1985).

  27. Dunque: “Lo sviluppo, inteso nella sua accezione economicistica, è un paradigma portatore di valori propri a una civiltà”(Castoridis, 1977), ovvero quella dell’Occidente, frutto di “un’esperienza storica particolare e che proviene da una geografia (dell’Europa allargata a Usa e Giappone), di una religione (il cristianesimo), di una filosofia (l’illuminismo), di una razza (bianca) e di un sistema economico (il capitalismo)” (Jacob, 1991, p. 74). • Matrice profonda di questa coerente catena di maglie identificative della modernità occidentale sarebbe, (Max Weber), il protestantesimo puritano (versione esasperata dell’individualismo cristiano). • La fine della guerra e gli anni che la seguirono, influenzati dall’ottimismo della pace, dalla ricostruzione e da nuove fiducie nel futuro oltre che dal fervore ideologico, costituiranno l’ambiente in cui far accettare universalmente l’idea dello sviluppo come chiave di volta della modernità e come via certa al miglioramento delle condizioni di vita degli uomini.

  28. Nasce così il termine “sottosviluppo” apparso nel 1942, utilizzato in un articolo di Wilfred Benson, ex membro della segreteria dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dedicato al progresso economico delle aree sottosviluppate, appunto. Ma la vera consacrazione avvenne in occasione del discorso di re-insediamento di H. Truman alla presidenza degli Stati Uniti, nel quale egli riconobbe l’esistenza di squilibri fra mondi diversi e, per la prima volta, l’esigenza di definire un programma in grado di “rendere disponibili i benefici dei perfezionamenti tecnologici e del progresso industriale per il miglioramento e la crescita delle aree sottosviluppate”20 gennaio 1949.

  29. da una parte gli USA si proponevano di estendere tecnologia, progresso, crescita e sviluppo alle nazioni che non ne avevano, • d’altro canto, adottavano un’idea di sviluppo che conteneva una forte qualità innovativa: oltre a comprendere le logiche economiche della crescita, in esso si assumeva pienamente il compito umanitario e universale della riduzione delle disparità.

  30. In realtà la contrapposizione tra il blocco sovietico e quello occidentale imponeva di dare una sistemazione al mondo i due schieramenti avviarono una lotta del tutto aderente alla spartizione dell’epoca coloniale, anche se ispirata a vie al benessere contrarie seppure simili nello spirito. Nonostante i due campi di appartenenza proponessero modelli di crescita opposti, sia il primo sia il secondo apparivano ispirati alla modernizzazione delle società tradizionali. Le ricette economiche, ma anche le analisi sociali e politiche del capitalismo, proponevano un modello di sviluppo graduale centrato nella fiducia nel progresso razionale insito nell’industrializzazione. Del resto le teorie economiche, “siano esse di scuola liberale o di scuola marxista, presentano lo sviluppo delle forze produttive come un processo attraverso il quale l’umanità realizza il suo destino”(Jacob, 1991, p. 76). Si trattava, in altre parole, di accettare l’idea che lo sviluppo, inteso negli stessi termini del percorso già effettuato dai paesi maggiormente sviluppati, si rendesse dogma.

  31. Come si analizza il sottosviluppo? • La Commissione Economica per l’America Latina (CEPAL) costituita dalle Nazioni Unite produsse, in particolare negli anni in cui fu presieduta da Raúl Prebisch (1950), una serie di analisi e raccolte di dati statistici da cui emergevano le conseguenze fortemente asimmetriche dei rapporti di scambio internazionali. • Le critiche allora poste portarono all’elaborazione delle teorie della dipendenzache interpretavano lo sviluppo e il sottosviluppo come due facce della stessa medaglia definendone le relazioni spazio-temporali attraverso la struttura del paradigma centro-periferia. L’interrelazione tra spazi evoluti e territori sottosviluppati corrispondeva alle relazioni intessute tra centralità e perifericità.

  32. L’insieme delle teorie della modernizzazione imperanti nel decennio Cinquanta propagandava un sistema di analisi scomposto in due grandi assiomi: • a) lo sviluppo era possibile solo nell’applicazione delle leggi che hanno già fatto avanzare i paesi occidentali • e, sul versante delle cause, • b) il sottosviluppo era determinato da limiti strutturali dei paesi del Sud: • classi sociali oligarchiche al potere, • eccesso di statalismo e lentezze burocratiche, • ridotto sviluppo tecnologico, • scarso livello nelle esportazioni, • ridotta capacità di attrarre investimenti esteri

  33. Soluzione: al fine di far crescere la convinzione della crescita, elemento discriminante per una sua riuscita, era necessario • ridurre la presenza dello Stato in economia (liberalismo), • sostenere le produzioni di beni a massima attrattività estera (soprattutto beni primari e libero scambio), • ridurre le importazioni, • attirare capitali esteri (far crescere le rendite e il debito pubblico).

  34. La configurazione del sottosviluppo, come qualcosa da contenere attraverso la modernizzazione e l’adozione delle tecniche del capitalismo, sarà fortemente messa in discussione dal modello dello scambio inegualeelaborato da Arghiri Emmanuel (1972) e ripreso poi da Samir Amin (1977) (ma si vedano anche Celso Furtado e Immanuel Wallerstein). • Anche in questo paradigma l’analisi dello sviluppo si concentra sulle differenze, in termini di gerarchia economica e ordine spaziale, tra centro e periferia. • Lo slittamento delle ragioni di scambio tra i prodotti dei paesi sviluppati e quelli dei paesi sottosviluppati, a favore dei primi, collegato alla diversa quantità di valore aggiunto incorporato nei prodotti stessi, costituisce il meccanismo di sottrazione di ricchezza.

  35. È impossibile invertire (nonostante le politiche di sostituzione delle importazioni) il dominio dei sistemi avanzati sugli altri: • i livelli di produttività più elevati, • i salari più alti • il controllo della tecnologia di punta, sostanziano il trasferimento di valore dalle periferie verso il centro che supera, oggi come negli anni Sessanta, “l’ammontare degli aiuti pubblici e degli investimenti privati che la periferia riceve” (Amin, 1977, p. 148).

  36. Yves Lacoste nel libro "Geografia del sottosviluppo” (1984) elencava i 14 punti caratteristici del sottosviluppo: • 1. Insufficienza alimentare • 2. Incuria o spreco delle risorse • 3. Elevato numero di agricoltori a bassa produttività • 4. Industrializzazione limitata e incompleta • 5. Ipertrofia e parassitismo del settore terziario • 6. Situazione di dipendenza economica nei confronti dei Paesi più sviluppati • 7. Fortissime disuguaglianze sociali • 8. Smembramento delle strutture tradizionali • 9. Sottoccupazione molto estesa e lavoro minorile • 10. Mancanza di unità nazionale • 11. Gravi deficit della popolazione (analfabetismo e malattie di massa) • 12. Grave incremento demografico • 13. Lento aumento delle risorse rispetto all'aumento della popolazione • 14. Presa coscienza da parte della popolazione della situazione economica, politica e sociale e quindi situazione in evoluzione.

  37. Filmato Mobutu all’ONU • Mobutu Sese Seko, nome completo Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga (letteralmente "Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che nessuno possa fermarlo") precedentemente noto come Joseph-Désiré Mobutu nato nel 1930 a Lisala e morto a Rabat nel 1997è stato dittatore dello Zaire (Repubblica Democratica del Congo (ex Congo Belga, poi Congo-Kinshasa (vs Repubblica del Congo (ex congo Francese o Congo Brazzaville) • Primo ministro dopo aver assassinato Lumumba (1961 indipendenza) • Presidente dopo aver deposto Kasa-Vubu • Filo occidentale, poi amico dei sovietici, Dittatore efferato, muore dopo 30 anni di potere, di affari con le grandi multinazionali, di CLEPTOCRAZIA

  38. Dunque nascono delle teorie che contrastano economicamente e politicamente il sistema • Negli anni Settanta nell’ottica di costruire processi di sviluppo propri al modello della modernizzazione, nasce lateoria della dipendenza che, nell’adottare i concetti della crescita endogena come possibile innesto di una dinamica economica virtuosa, propugna per i paesi del sottosviluppo la massima occupazione della forza lavoro come ricetta in grado di promuovere l’integrazione sociale e, da questa, la pratica democratica e di partecipazione al potere con il conseguente rovesciamento delle oligarchie filo-occidentali.

  39. Tali teorie condivisero le cause del sottosviluppo nell’accumulazione originaria determinatasi attraverso l’epoca coloniale e la specializzazione forzata nella produzione di beni primari; • ma intesero le politiche di sviluppo come mera interruzione delle condizioni di subalternità, pur non identificando un modello in grado di condizionare, se non in maniera velleitaria, i rapporti di forza. • Alcuni studiosi sociali, tra cui geografi, sociologi, economisti e politologi, avanzarono nell’elaborazione delle teorie della dipendenza distinguendosi in due approcci distinti: rivoluzionario il primo; riformista il secondo.

  40. Per i “rivoluzionari” la sola alternativa al sottosviluppo era la distruzione del sistema capitalistico in tutte le forme adottate nei Sud del mondo, laddove, per i “riformisti”, si trattava di riformulare le logiche all’interno dei sistemi. La soluzione delle condizioni di povertà dei paesi poveri erano determinate dallo sfruttamento delle “periferie” da parte del “centro”: nell’impossibilità di interrompere i flussi di scambio non v’era che da rifiutare i modelli libero-scambisti, osservare l’inadeguatezza dei processi di crescita basati sull’industrializzazione e sull’innovazione tecnologica e rompere con l’Occidente. • Invece: aggiustamento strutturale, privatizzazioni, banca mondiale e FMI

  41. Aggiustamento strutturale è un termine utilizzato per descrivere i cambiamenti nelle politiche implementati nei PVS. • Detti conditionalities i programmi di AS sono il presupposto per ottenere nuovi finanziamenti da FMI e BM o per avere tassi di interesse minori. Si tratta di dimostrare che il denaro prestato sarà speso in conformità con gli obiettivi del finanziamento. • Gli Structural Adjustment Programs - sono creati per promuovere la crescita economica, generare reddito, e ripagare il debito che i paesi hanno accumulato. • Attraverso le condizionalità, i Programmi di Aggiustamento Strutturale implementano generalmente programmi e politiche di "libero mercato". Questi programmi comprendono cambiamenti sia interni (in particolare privatizzazioni e deregolamentazioni), sia esterni, specialmente la riduzione delle barriere commerciali. • I paesi che falliscono nell'esecuzione di tali programmi possono essere soggetti a una severa disciplina fiscale. I critici sostengono che le minacce finanziarie ai paesi poveri equivalgono a un ricatto, al quale le nazioni povere non hanno altra scelta che accondiscendere. • E privatizzare significa…

More Related