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La luce e la sua storia. Tratto da “Storia della luce” Di Vasco Ronchi Classe II D anno scolastico 2007-2008 A cura di Tania Pascucci Docente tutor Piano Nazionale Insegnare Scienze Sperimentali. La scienza Antica.
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La luce e la sua storia Tratto da “Storia della luce” Di Vasco Ronchi Classe II D anno scolastico 2007-2008 A cura di Tania Pascucci Docente tutor Piano Nazionale Insegnare Scienze Sperimentali
La scienza Antica Vasco Ronchi intraprese la propria carriera scientifica nel 1920 presso l’Istituto di Fisica dell’Università di Firenze. Sulle pareti dell’edificio egli notò un dipinto allegorico, nel quale erano rappresentate alcune giovani donne (simbolo delle scienze nuove) che si dissetavano ad una fonte posta sotto il busto di Archimede (che rappresenta la scienza antica), tutte tranne una, che non aveva voluto bere. Erano inoltre rappresentate le stesse donne nell’atto di salire verso “il solo sole”, ad eccezione di quella che non aveva bevuto, la quale era caduta al suolo.
Gli insuccessi iniziali Vasco Ronchi stesso iniziò le proprie ricerche nel campo dell’ottica, utilizzando libri moderni e aggiornati, che esprimevano convinzioni degli autori come certe, e che facevano fugaci accenni alle teorie più antiche, considerate ormai superate. Si attribuiva infatti erroneamente l’inizio del periodo fondamentale per l’ottica, proprio all’opera di Isaac Newton. Applicando le leggi moderne che sintetizzavano le ricerche dei suoi predecessori Ronchi suppose che i propri insuccessi fossero dovuti all’errata applicazione delle leggi dell’ottica; quindi dedicò numerosi anni all’applicazione sempre più fedele delle medesime leggi.
“La storia della luce” Aumentando però gli insuccessi, egli iniziò a dubitare della veridicità delle leggi che aveva sempre accettato come indiscutibili, senza verificare egli stesso se fossero tali. Nel 1936 Federigo Enriques gli propose di scrivere un libro sulla storia della luce, ed egli accettò ponendo però una scadenza di due anni, che risultarono poi insufficienti.
Le teorie greche e romane Già nel IV sec a.c. la filosofia greco-romana aveva affermato che l’anima viene a contatto con il mondo che la circonda mediante dei sensi. Appurato che il tatto, il gusto, l’olfatto e l’udito avvengono proprio grazie ad un contatto fra i nervi e gli stimoli esterni che interagiscono con essi, si dedusse che anche la visione dovesse seguire un meccanismo ad essi analogo. La visione però risultò alquanto complicata, poiché gli occhi venivano sicuramente a contatto con un qualcosa di impalpabile, ma era ancora oscuro cosa fosse questo “quid”.
Il “Quid” Si ipotizzò inizialmente che gli oggetti emanassero un “quid” che penetrava negli occhi, impressionandoli, rendendo così possibile la visione. Ciò che però risultava incomprensibile era la “materia” che costituiva il “quid”. Esso infatti trasportava informazioni riguardanti il colore, la posizione, e la forma dei corpi nello stesso istante, quindi non poteva essere informe, né tanto meno una vibrazione.
I Fisici, considerati “eretici” • I fisici ritenevano che il quid dovesse essere un qualcosa di rigido, tale che potesse trasportare numerose informazioni all’occhio, impressionandolo. • Si ipotizzò quindi che il quid fosse una specie di “scorza” che, staccandosi dal corpo e riducendosi progressivamente, si propagava in tutte le direzioni, a grandissima velocità, fino a penetrare la pupilla.
I Matematici si affermano • I matematici invece ipotizzarono correttamente che la visione fosse permessa da degli agenti rettilinei, che uscivano dagli occhi e, dopo aver esplorato l’ambiente circostante, riportavano all’anima tutte le informazioni necessarie per “vedere” ciò che la circonda. • Essi furono chiamati raggi visuali, e la loro esistenza fu avvalorata mediante l’esempio di un cieco che vede soltanto grazie ad un bastone, poiché non può servirsi dei “bastoni” che escono dagli occhi. • Gli studi geometrici effettuati sui raggi visuali sono ancora validi, fatta eccezione per il verso della propagazione, infatti sono i raggi ad entrare negli occhi, e non gli occhi ad emetterli.
La “lux” Tutti i filosofi e gli scienziati greci e latini erano d’accordo però su una cosa, ovvero che la luce (chiamata “lux”) e il colore fossero soggettivi, ovvero creati dall’anima per rappresentare gli stimoli che giungevano agli occhi.
Aristotele • La concezione aristotelica si discostava da entrambe le teorie, in quanto egli riteneva che la visione fosse l’effetto di un’interazione fra le azioni esercitate dal corpo, e il mezzo circostante.
LUCREZIO “De rerum natura”
La vita di Lucrezio La vita di Lucrezio Vissuto tra il 98 e il 55 a.C. è probabilmente morto suicida. La sua vita è avvolta nella leggenda. Abbiamo notizie di lui solo attraverso autori successivi alla sua epoca, come Cicerone. Si dice che abbia scritto la sua opera principale (de rerum natura) nei suoi momenti di quiete dalla follia causata da un filtro d’amore. Le sue opere infatti sono tutte caratterizzate da una forte alternanza di euforia e di malinconia (bipolarismo). Vissuto tra il 98 e il 55 a.C. è probabilmente morto suicida. La sua vita è avvolta nella leggenda. Abbiamo notizie di lui solo attraverso autori successivi alla sua epoca, come Cicerone. Si dice che abbia scritto la sua opera principale (de rerum natura) nei suoi momenti di quiete dalla follia causata da un filtro d’amore. Le sue opere infatti sono tutte caratterizzate da una forte alternanza di euforia e di malinconia (bipolarismo).
Teoria epicurea Teoria epicurea Riprende i temi principali della dottrina epicurea, che sono: .l'aggregazione atomistica; .la liberazione dalla paura della morte; .la spiegazione dei fenomeni naturali. Seguendo le teorie di Epicuro, la concezione del raggiungimento del piacere si ottiene attraverso l’imperturbabilità. La morte non era temuta perché si pensava che fosse una disgregazione di atomi, come la vita ne era un’aggregazione. Questi atomi dunque si sarebbero riuniti successivamente per comporre un altro essere vivente.Questa teoria ammetteva l’esistenza degli dei ma si pensava che essi rimanessero in disparte, disinteressati alla vita terrena. Lucrezio, a differenza di Epicuro, credeva che la poesia servisse ad attenuare concetti che con la prosa sarebbero stati sgradevoli. Riprende i temi principali della dottrina epicurea, che sono: .l'aggregazione atomistica; .la liberazione dalla paura della morte; .la spiegazione dei fenomeni naturali. Seguendo le teorie di Epicuro, la concezione del raggiungimento del piacere si ottiene attraverso l’imperturbabilità. La morte non era temuta perché si pensava che fosse una disgregazione di atomi, come la vita ne era un’aggregazione. Questi atomi dunque si sarebbero riuniti successivamente per comporre un altro essere vivente.Questa teoria ammetteva l’esistenza degli dei ma si pensava che essi rimanessero in disparte, disinteressati alla vita terrena. Lucrezio, a differenza di Epicuro, credeva che la poesia servisse ad attenuare concetti che con la prosa sarebbero stati sgradevoli.
DE RERUM NATURA Teoria epicurea Divisione dell'opera Teoria dei simulacra
Suddivisone dell'opera Si tratta di un poema didascalico, (genere letterario che consiste nella comunicazione di contenuti informativi in forma poetica) di natura scientifico-filosofica, scritto in esametri e suddiviso in sei libri a gruppi di tre, fu dedicato inoltre a Gaio Memmio. Ogni libro è introdotto da un proemio (invocazione alla musa e spiegazione dell’argomento). Quasi tutti i proemi sono dedicati ad Epicuro, noto filosofo e pretore romano Il primo proemio è dedicato a Venere, la dea dell’amore mentre il sesto è dedicato ad Atene, la città natale di Epicuro. Sequenza di sette versi ripetuti tre volte durante l’opera Il tema della LUCE CHE TRIONFA SULLE TENEBRE
Teoria dei simulacra Dopo aver parlato dell’anima e del corpo, Lucrezio (nel libro IV del De Rerum Natura), parla dei simulacri: quelle membrane che staccandosi dalla superficie dei corpi giungono ad impressionare gli organi di senso. Questi simulacra conservano l ’aspetto dell ’oggetto dai cui sono emessi. A volte alcuni simulacra si formano da soli senza staccarsi dalle cose e vagano per l’aria senza smettere mai di cambiare il loro aspetto dissolvendosi e trasformandosi nei contorni di forme di ogni tipo. Per spiegare la percezione della profondità, ovvero il capire se un corpo è più o meno distante da un altro, Lucrezio ipotizza che la quantità d’aria incontrata da un simulacrum durante il suo viaggio verso l’occhio “entri” in quest’ultimo e permetta la percezione della distanza tra l’occhio e l’oggetto. Per spiegare inoltre il motivo per cui volgendo lo sguardo verso il sole si prova dolore, Lucrezio afferma che i simulacra del sole siano formati da atomi di fuoco, che incontrando l’occhio causano appunto dolore.
Intuitivamente ognuno di noi abbraccia le antiche teorie che presuppongono un ruolo attivo dell’occhio nel meccanismo della visione (teoria dei raggi visuali). Perciò queste concezioni si ritrovano ad esempio in alcune frasi comuni o modi di dire come “ti lancio un’occhiata”, “ti fulmino con lo sguardo”, “avere uno sguardo penetrante”. Anche l’uso del verbo “guardare” presuppone l’ipotesi dei raggi visuali.
Alhazen e il “lumen” • La teoria dei raggi visuali diventa la teoria accettata dalla maggior parte delle persone, fino all’XI secolo, quando crolla definitivamente. • Alhazen, un esponente della scuola araba, si rese conto che, osservando il sole e poi chiudendo gli occhi, rimaneva il disco luminoso impresso per molto tempo. • L’occhio doveva quindi essere impressionato da un agente esterno, un “lumen” ben distinto dalla “lux”(chiaro soggettivo creato dall’anima per collocarvi le figure dei corpi veduti).
Sorgenti Puntiformi • Alhazen risolse perfettamente il “come” il lumen riuscisse a penetrare nella pupilla, dal diametro infinitesimale, portando le informazioni relative a corpi di dimensioni variabili (da microscopici a immensi). • Egli comprese infatti che gli eidola emessi dai corpi, non si potevano “contrarre misteriosamente” durante il tragitto fino all’occhio, ma dovevano essere infiniti.Suddivise quindi l’oggetto in tanti elementi puntiformi, che mandavano ognuno il proprio eidolon, in tutte le direzioni. • Gli eidola emessi erano così piccoli da poter penetrare la pupilla senza alcuna contrazione, e da poter impressionare il “sensorio”, ovvero la superficie sensibile dell’occhio.
Difficoltà della teoria di Alhazen • Alhazen si rese conto che, poiché le traiettorie degli eidola si intersecavano in un punto (la pupilla dell’occhio), l’immagine risultava capovolta sul fondo dell’occhio, ritenuto fino a quel momento il sensorio, ovvero il ricevitore. • Egli affermò quindi che il sensorio doveva trovarsi prima del punto di intersezione, in modo da far risultare dritta l’immagine dell’oggetto. L’unica parte dell’occhio che soddisfaceva questa caratteristica era il cristallino, quindi affermò che era proprio questa parte a ricevere e percepire l’immagine.
Gli studi di Alhazen • Nonostante Alhazen avesse erroneamente attribuito al cristallino il meccanismo della visione, il suo contributo all’ottica è stato ingente. • Egli introdusse infatti il concetto di “lumen”, smentì la teoria dei raggi visuali, avanzò l’ipotesi che il lumen fosse composto da corpuscoli microscopici che viaggiavano a velocità altissima e che si riflettevano e rifrangevano. • Giustificò inoltre sia la riflessione che la rifrazione mediante esperimenti meccanici e teorici.
Riflessione Macchina fotografica Rifrazione Specchi Lenti
Riflessione Consideriamo un raggio che viene riflesso da uno specchio e determiniamo esattamente le caratteristiche del fenomeno. Innanzi tutto, nel punto in cui il raggio incidente tocca lo specchio, si deve costruire la normale , ovvero la retta perpendicolare al piano in quel punto. Detto questo occorre precisare che il raggio incidente si indica con i , il raggio riflesso con r , l'angolo di incidenza, che è l'angolo fra il raggio incidente e la normale, con e l'angolo di riflessione, l'angolo cioè fra il raggio riflesso e la normale, con . In sintesi :
Precisata la "nomenclatura" del fenomeno della riflessione, affermiamo che valgono le seguenti leggi : - 1 - il raggio incidente, la normale ed il raggio riflesso sono posti su uno stesso piano - 2 - l'angolo di incidenza è uguale all'angolo di riflessione, cioè Queste sono le leggi della riflessione e le possiamo considerare desunte dall'esperienza anche se possono essere spiegate sia tramite il modello corpuscolare che quello ondulatorio. Con il modello corpuscolare la spiegazione è più semplice ed intuitiva. Basta considerare la riflessione della luce alla stessa stregua dell'urto di biglie contro la sponda di un biliardo.
(b) - la diffusione : è il fenomeno per cui i raggi di luce vengono riflessi in ogni direzione da una superficie non speculare (un corpo ruvido, per esempio). I raggi inizialmente paralleli vengono riflessi in ogni direzione dalla non uniformità microscopica (vi sono varie microsuperfici riflettenti secondo angoli diversi) della superficie riflettente :
Rifrazione Quando un raggio di luce passa da un mezzo ad un altro di differente densità ottica (distinta dalla densità come rapporto massa/volume, ma che tiene conto del "modo" di propagarsi della luce nel mezzo), esso cambia la propria direzione. Questo è il fenomeno della rifrazione. Per esempio, passando da aria, che indichiamo come mezzo 1 , ad acqua, che indichiamo come mezzo 2 :
Bisogna subito osservare che se si aumenta la densità del mezzo 2 , senza variare la densità del mezzo 1 , il raggio si avvicina alla normale. Il fenomeno, quindi, si accentua all'aumentare della differenza di densità fra i mezzi. A questo punto sorge spontanea la domanda : esiste una relazione matematica fra angolo di incidenza ed angolo di rifrazione per una data scelta di mezzi, per esempio aria ed acqua ? Se variamo (a parità di mezzi) l'angolo di incidenza , come varia di conseguenza l'angolo di rifrazione ?
In generale osserviamo che se aumentiamo l'angolo , l'angolo aumenta di conseguenza, ma non in maniera proporzionale. Se, per esempio, raddoppiamo , l'angolo non raddoppia di conseguenza. Questo significa che la legge matematica del fenomeno della rifrazione non è una semplice legge di proporzionalità. Per angoli di piccola apertura però il seno di un angolo si può approssimare alla misura dell’angolo e questo rende la legge proporzionale.Per calcolare l’angolo di rifrazione si eguaglia il rapporto tra il seno di e il seno di con il rapporto tra l’indice di rifrazione del secondo mezzo con il primo. dove si chiama indice di rifrazione del 2° mezzo rispetto al 1°.(Caratteristica dell’interazione con la luce)
Angolo limite Abbiamo gia osservato il comportamento di un raggio luminoso se, viceversa, mandiamo un raggio dall'acqua all'aria esattamente all'inverso rispetto al caso precedente: otterremo che i raggi di luce formano gli stessi angoli. Si noti che anche qui abbiamo una riflessione parziale del raggio incidente, che però non prenderemo in considerazione .
Proviamo ora ad aumentare gradatamente l'angolo in acqua. Otterremo le seguenti situazioni : Come si vede dal grafico, si raggiunge un angolo limite secondo il quale il raggio uscente dall'acqua forma un angolo retto rispetto alla superficie di separazione fra i mezzi. Per l'acqua rispetto l'aria (o il vuoto) quest'angolo limite è circa 49° .
Cosa avviene se si supera l'angolo limite ? Il raggio non passa più dall'acqua all'aria ma si riflette totalmente nell'acqua secondo le leggi della riflessione :
Il fenomeno dell'angolo limite nella rifrazione, è sfruttato per costruire utili strumenti.- 1 - Prismi per binocoli, periscopi.Consideriamo un prisma di vetro con sezione a triangolo isoscele rettangolo: mandiamo un raggio di luce incidente perpendicolarmente al lato AB . Esso entrerà nel vetro senza cambiare direzione e colpirà il lato AC con un angolo di incidenza di 45° rispetto alla normale n. Siccome l'angolo di 45° è superiore all'angolo limite fra vetro ed aria, il raggio di luce non può uscire dal vetro ma può solo subire una riflessione totale anch'essa di 45° (rispetto alla normale n ). Si ha perciò la fuoriuscita del raggio luminoso dal lato BC. In questo modo abbiamo ottenuto una deviazione ad angolo retto di un raggio luminoso con un semplice prisma di vetro. Questo fenomeno è utilizzato nella costruzione dei binocoli, nella tecnica dei periscopi ecc.
Le fibre ottiche non sono semplicemente piccoli tubi: ogni singola fibra ottica è composta da due strati concentrici di materiale trasparente estremamente puro: un nucleo cilindrico centrale, o core, ed un mantello o cladding attorno ad esso. Il core presenta un diametro molto piccolo di circa 10 μm, mentre il cladding ha un diametro di circa 125 µm. I due strati sono realizzati con materiali con indice di rifrazione leggermente diverso, il cladding deve avere un indice di rifrazione minore rispetto al core. Sezione laterale Sezione frontale
Fibre ottiche. La tecnica delle fibre ottiche sta entrando prepotentemente nella tecnologia moderna. Sistemi di telecomunicazione, internet ecc. ne fanno largo uso. Il principio di "funzionamento" delle fibre ottiche è basato sullo sfruttamento dell'angolo limite per la rifrazione fra vetro ed aria. Prendiamo un filo abbastanza sottile di vetro o sostanza affine che possa essere piegato. La luce, al suo interno, incidendo con angoli superiori all'angolo limite fra vetro ed aria, non ne può uscire. Si ha così la propagazione del segnale luminoso lungo una fibra ottica :
Specchi Uno specchio è una superficie riflettente sufficientemente lucida da permettere la riflessione di immagini. Il tipo più noto è lo specchio piano, usato tutti i giorni per specchiarsi, ma specchi sono usati in molte applicazioni e diverse forme.
L'immagine vista attraverso uno specchio piano è detta virtuale, in quanto sembra provenire da una direzione diversa rispetto all'oggetto e non può essere proiettata su uno schermo. In uno specchio piano un fascio di raggi luminosi paralleli viene deviato ma si mantiene il parallelismo dei raggi. Ciascun raggio che colpisce lo specchio viene riflesso di un angolo identico a quello di incidenza. Oltre allo specchio piano esistono specchi parabolici concavi, specchi sferici convessi.
La riflessione Euclide • Teorema I: “Negli specchi piani, negli specchi convessi, negli specchi concavi, i raggi si riflettono con angoli eguali ” Dimostrazione: • AB:BC=OA:ZC • Triangoli simili
Indicando con: • f la distanza focale; • p la distanza della sorgente dallo specchio; • q la distanza dell’immagine dallo specchio, • per ogni tipo di specchio vale la seguente formula, detta dei punti coniugati: Vale quindi la proprietà dell’invertibilità del cammino luminoso: ponendo la sorgente alla distanza q, l’immagine si formerà ad una distanza p dallo specchio.
Si tratta di una calotta sferica con la parte interna riflettente. Un tale specchio si dice concavo : ed è ottenuto sezionando una sfera con un piano. La calotta così ottenuta è fondamentale (come vedremo più avanti) che sia piccola rispetto al raggio della sfera. Specchi Concavi
Si danno le seguenti definizioni : (il centro C è il centro della sfera da cui è stato ricavato lo specchio).
Consideriamo ora un raggio luminoso parallelo all'asse ottico (principale) che dall'esterno colpisce lo specchio. Supponiamo che tale raggio sia vicino all'asse medesimo. Il raggio sarà riflesso e a causa delle leggi della riflessione si avrà : essendo l'angolo di incidenza uguale all'angolo di riflessione. Si noti che, essendo lo specchio curvo, per ottenere la riflessione abbiamo tracciato la retta tangente allo specchio. Si noti anche che la normale alla suddetta tangente è un raggio della sfera (da cui è stato ricavato lo specchio), cioè passa per C .Il punto in cui il raggio riflesso interseca l'asse ottico è stato indicato con F .
Considerando altri raggi paralleli all'asse ottico (ad esso vicini) si ottiene : da cui si vede chiaramente che tutti i raggi riflessi passano per il punto F che per questo è detto fuoco dello specchio. Il fuoco F si trova a metà del segmento VC e la distanza VF si chiama distanza focale. Abbiamo cioè : VF = FC .
La condizione per cui i raggi riflessi passino tutti per F è che i raggi incidenti, paralleli all'asse ottico, siano vicini al medesimo. Se ciò non avviene, la convergenza del raggio riflesso non si verifica più in F : e si ha perciò il fenomeno dell'aberrazione.
Se poniamo un oggetto luminoso davanti ad uno specchio concavo (per esempio sferico) si ottiene una immagine via via diversa in dipendenza da dove si colloca l'oggetto luminoso. Immaginiamo di porre l'oggetto luminoso, che rappresenteremo graficamente con una freccia, posta rispetto allo specchio come nella figura seguente. Secondo l'ottica geometrica dall'oggetto luminoso dipartono raggi luminosi in tutte le direzioni. Quelli che colpiranno lo specchio verranno da esso riflessi secondo le leggi della riflessione. Studiamo il fenomeno elencando vari casi. Immagine ottenuta con uno specchio concavo
- 1 - oggetto luminoso posto ad una distanza dallo specchio superiore al doppio della distanza focale : Consideriamo due raggi incidenti uscenti da A per i quali sia facile costruire i rispettivi raggi riflessi. Il raggio che parte da A e si propaga parallelamente all'asse ottico incontra lo specchio e si riflette in modo che l'angolo di incidenza sia uguale all'angolo di riflessione ( ). Sappiamo che tale raggio riflesso passa per il fuoco F . Il raggio che partendo da A incontra lo specchio nel vertice V si riflette alla stessa maniera ( ). I due raggi riflessi si incontrano allora in A' .
Se si esegue la costruzione geometrica di tutti i raggi riflessi relativi ai raggi incidenti uscenti da A , si trova che tutti si intersecano on A' . Allora, secondo l'ottica geometrica, in A' si forma l'immagine del punto A . Eseguendo lo stesso procedimento per tutti gli altri raggi partenti dall'oggetto ed incidenti nello specchio, si otterrà allora una immagine reale, capovolta, rimpicciolita e vicina al fuoco. Graficamente :
Essa è reale perché l'immagine che si ottiene potrebbe essere raccolta su uno schermo o impressionare una lastra fotografica posta dove essa si forma.Essa è capovolta rispetto all'oggetto luminoso.Essa è rimpicciolita perché più corta dell'oggetto luminoso.Se avviciniamo l'oggetto luminoso al fuoco, otteniamo che l'immagine si ingrandisce e si allontana dal fuoco verso l'oggetto :
Se l'oggetto luminoso è posto all'infinito, situazione tipica delle osservazioni astronomiche, l'immagine diventa puntiforme e posta sul fuoco F . Questo lo si comprende perché nello specchio arrivano solo raggi paralleli (o quasi) all'asse ottico ed essi vengono convogliati tutti nel fuoco F :
2 - oggetto luminoso posto sul centro C dello specchio :Quando l'oggetto si trova sul centro C dello specchio (il centro della sfera da cui è stato ricavato lo specchio) si ottiene un'immagine ancora nel centro C ma capovolta con le stesse dimensioni dell'oggetto :