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Le origini della Repubblica romana

Anno Accademico 2007/08 Lezioni di Giurisprudenza romana. Le origini della Repubblica romana. Lapis Satricanus. Basamento di ex-voto a Marte con menzione dei sodales di Pubblio Valerio Poblicola dal tempio di Mater Matuta a Satrico. Fine del VI/inizi del V sec. a.C. di

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Presentation Transcript


  1. Anno Accademico 2007/08 Lezioni di Giurisprudenza romana Le origini della Repubblica romana Lapis Satricanus. Basamento di ex-voto a Marte con menzione dei sodales di Pubblio Valerio Poblicola dal tempio di Mater Matuta a Satrico. Fine del VI/inizi del V sec. a.C. di Gianfranco Purpura

  2. iei steterai Popliosio Valesiosio suodales Mamartei “questo posero i compagni di Pubblio Valerio in onore di Marte”

  3. Denario di M. Giunio Bruto (54 a.C.), raffigurante il console del 509 a.C., preceduto dall’accensus ed accompagnato da due littori.

  4. Sacrificare “teste per teste” Giunio Bruto, divenuto console dopo la cacciata di Tarquinio, decise di modificare tale tipo di sacrificio. Ordinò di compiere le suppliche con teste di aglio e di papavero: si obbediva così all’oracolo di Apollo che parlava di teste senza peraltro compiere il misfatto di un infausto sacrificio; …quanto a tali giochi, si chiamarono Compitali dai crocicchi (compita) in cui si svolgevano. Macrobio, Saturnalia I, 7, 34-35: Quod sacrificii genus (di bambini) Iunius Brutus consul pulso Tarquinio aliter constituit celebrandum. Nam capitibus alii et papaveris supplicari iussit ut responso Apollinis satis fieret de nomine capitum remoto scilicet scelere infaustae sacrificationis; … ludosque ipsos ex viis compitorum in quibus agitabantur Compitalia appellitaverunt.

  5. Pantheon Necropoli di Casale marittimo Codice di Hammurabi

  6. Ovidio, Metamorfosi 15, 570 ss.: …cum vidit (praetor) Cippus in unda/ cornua (vidit enim) falsamque in imagine credens/ esse fidem, digitis ad frontem saepe relatis,/ quae vidit, tetigit, nec iam sua lumina damnans/ restitit, ut victor domito remeabat ab hoste/ … haruspex …/ 'rex,' ait 'o! salve! tibi enim, tibi, Cippe, tuisque/ hic locus et Latiae parebunt cornibus arces./ tu modo rumpe moras portasque intrare patentes/ adpropera! sic fata iubent; namque urbe receptus/ rex eris et sceptro tutus potiere perenni.‘/ Quando (il pretore) Cippo vide nell’onda i corni e, a tal vista, credendo illusione quell’immagine portò più volte le dita alla fronte e toccò quello che aveva veduto; e, cessando di accusare i suoi occhi , si fermò, mentre tornava vittorioso dall’aver debellato il nemico… l’aruspice… disse “Salve o re! A te Cippo e ai tuoi corni obbediranno questo luogo e le rocche del Lazio! Ma rompi gli indugi ed affrettati ad entrare nelle porte aperte! Così impongono i fati! Sarai ricevuto nella città, sarai re e terrai sicuramente e per sempre lo scettro”. imperium – pomoerium iurisdictio – provincia auspicia – mores

  7. Ennio, Annales 500: Moribus antiquis Res stat Romana virisque. La Res Romana si fonda sugli antichi mores e sugli uomini.

  8. Livio, Hist. I, 60: Duo consules inde comitiis centuriatis a praefecto urbis ex commentariis Servi Tulli creati sunt, L. Iunius Brutus et Lucius Tarquinius Collatinus.

  9. Festo, De verborum significatione: Magister populi qui vulgo dictator appellarunt...

  10. Livio, Hist. VII, 3, 5: Lex vetusta est, priscis litteris verbisque scripta, ut qui praetor maximus sit idibus septembribus clavum pangat...

  11. Fasti

  12. FASTI • Dal 509 al 451 • Un nominativo anche se erano due i magistri, • quello del magister populi alla data del 14 settembre. • Dal 449 in poi • Due nominativi. Completate le liste antiche con un secondo nome. • Decemviri • Lista falsa di autentici eponimi. • Dal 450 al 390 • Falsificazione della lista autentica con un solo eponimo ed • elaborazione della vicenda delle XII Tavole • prima dell’incendio gallico.

  13. Livio, Ann. 4, 5, 5 (rogatio Canuleia del 445 a.C. ): Itaque ad bella ista, seu falsa seu vera sunt, consules, parata vobis plebs est, si conubiis redditis unam hanc civitatem facitis, si coalescere, si iungi miscerique vobis privatis nessitudinibus possunt, si spes, si aditus ad honores viris strenuis et fortibus datur, si in consortio, si in societate rei publicae esse,si, quod aequandae libertatis est, in vicem annuis magistratibus parere atque imperitare licet. Pertanto la plebe è a vostra disposizione, o consoli, pronta ad assumersi l’onere di queste guerre, siano esse false (cioè, pretestuose) o vere, se voi, restituito il diritto di connubio, renderete effettivamente una questa città, se i plebei potranno unirsi, stringersi, fondersi con voi in private relazioni di parentela, se si concederà ai valorosi e forti la speranza, l’accesso alle cariche pubbliche, se sarà consentita la comune partecipazione politica, se sarà possibile, in conformità al principio dell’uguaglianza politica, obbedire e comandare a vicenda con annue magistrature.

  14. Paul.,Epit. Fest., L. p. 113 (I magistrati) per imperia potentiores sunt quam privati Livio, 2, 33, 1 (lex sacrata del 494 a.C.): Agi deinde de concordia coeptum, concessumque in condiciones, ut plebei sui magistratus essent sacrosanti, quibus auxilii latio adversus consules essent, neve cui patrum capere eum magistratum liceret. Si iniziarono allora le trattative per un accordo che fu raggiunto a queste condizioni: che i plebei avessero propri magistrati inviolabili, ai quali spettasse il diritto d’intervento contro i consoli, e che a nessuno dei patrizi fosse lecito assumere questa magistratura.

  15. Livio 7, 21, 4 (osservanza delle Leges Licinniae Sextiae nel 352 a. C.): Quorum taedio patres L. Cornelium Scipionem interregem concordiae causa observare legem Liciniam comitiis consularibus iussere. Infastiditi da questo stato di cose, i senatori ordinarono all’interrè L. C. Scipione di osservare nei comizi, per amore di concordia, la legge Licinia.

  16. Cic.,Phil., 9, 1, 3: Ut igitur alia, sic hoc, C. Pansa, praeclare quod et nos ad honorandum Ser. Sulpicium cohortatus es et ipse multa copiose de illius laude dixisti. Quibus a te dictis nihil praeter sententiam dicerem, nisi P. Servilio, clarissimo viro, respondendum putarem, qui hunc honorem statuae nemini tribuendum censuit nisi ei qui ferro esset in legatione interfectus. Ego autem, patres conscripti, sic interpretor sensisse maiores nostros, ut causam mortis censuerint, non genus esse quaerendum. Etenim cui legatio ipsa morti fuisse, eius monumentum extare voluerunt, ut in bellis periculosis obirent homines legationis munus audacius. Non igitur exempla maiorun quaerenda, sed consilium est eorum, a quo exempla nata sunt, explicandum. Come dunque in altre circostanze, così anche in questa, C. Pansa hai con tanta saggezza deciso, esortando anche noi ad onorare Servio Sulpicio ed hai tu stesso pronunciato un ampio ed eloquente elogio di lui. Alle considerazioni da te svolte non avrei altro da aggiungere, salvo il mio voto, se non ritenessi necessaria una risposta a Publio Servilio, uomo eminentissimo, il quale ha sostenuto che l’onore di una statua possa essere attribuito soltanto a colui che sia stato ucciso col ferro nell’espletamento di un’ambasceria. Io invece, senatori, così interpreto l’intento dei nostri antenati: che si debba considerare la causa, non il genere di morte. Vollero, infatti, che fosse eretta una statua a colui al quale l’ambasceria avesse procurato la morte, allo scopo di invogliare i cittadini ad accettare con più coraggio l’incarico di un’ambasceria in guerre pericolose. Non basta, pertanto, ricercare condotte esemplari di antenati, ma occorre altresì stabilire l’intento di questi ultimi, che ha dato luogo alle condotte stesse.

  17. Liv., 27.8.7-10: “Huius famae consensu elatus ad iustam fiduciam sui rem intermissam per multos annos ob indignitatem flaminum priorum repetuit, ut in senatum introiret. 8. Ingressum eum curiam cum P. Licinius praetor inde eduxisset, tribunos plebis appellavit. Flamen vetustum ius sacerdotii repetebat: datum id cum toga praetexta et sella curuli ei flamonio esse. 9. Praetor non exoletis vetustate annalium exemplis stare ius, sed recentissimae cuiusque consuetudinis usu volebat: nec patrum nec avorum memoria Dialem quemquam id ius usurpasse. 10.Tribuni rem inertia flaminum oblitteratam ipsis, non sacerdotio damno fuisse cum aequum censuissent, ne ipso quidem contra tendente praetore, magnu adsensu patrum plebisque flaminem in senatum introduxerunt, omnibus ita existimantibus magis sanctitate vitae quam sacerdotii iure eam rem flaminem obtinuisse. Indotto da questa unanime stima ad una giustificata fiducia in sé stesso, reclamò una prerogativa da molti anni caduta in disuso per indegnità dei precedenti flamini: quella di partecipare alle sedute del senato. Introdottosi egli nella Curia, avendolo il pretore P. Licinio espulso da lì, si appellò ai tribuni della plebe. Il flamine reclamava un’antica prerogativa sacerdotale: sarebbe stata attribuita al flaminato con la toga pretesta e la sella curule. Il pretore sosteneva che la “costituzionalità” di una prerogativa dovesse essere desunta non già da precedenti annalistici caduti in disuso per vetustà, sibbene dalla prassi della più recente consuetudine: nessun Diale, a memoria di padri ed avi, aveva esercitato più quella prerogativa. I tribuni, avendo giudicato equo che la prerogativa caduta in desuetudine, per inerzia dei flamini, avesse nuociuto a quest’ultimi, non al sacerdozio, disposero l’ammissione del flamine in senato, con il consenso unanime dei senatori e del popolo, e senza opposizione alcuna del pretore, avendo tutti convenuto che il flamine aveva ottenuto quella prerogativa più per la probità della sua vita, che non per privilegio sacerdotale.

  18. Cic. De leg. agr. 2. 7. 17: Etenim cum omnis potestates, imperia, curationes ab universo populo Romano proficisci convenit, tum eas profecto maxime, quae constituuntur ad populi fructum aliquem et commodum, in quo et universi deligant, quem populo Romano maxime consulturum putent, et unus quisque studio et suffragio suo viam sibi ad beneficium impetrandum munire possit. Se si conviene, infatti, che tutti i poteri, i comandi militari, gli uffici amministrativi emanino dall’intero popolo Romano, tanto più ciò deve avvenire per la realizzazione di quegli obiettivi che mirano al vantaggio ed all’utilità del popolo, affinchè tutti scelgano chi ritengano più adatto a provvedere al bene del popolo Romano, e ciascuno possa aprirsi, con il suo voto, la via per ottenere un beneficio.

  19. Cic., Pro Planc. 4.11: Est enim haec condicio liberorum populorum praecipueque huius principis populi et omnium gentium domini atque victoris, posse suffragiis vel dare vel detrahere quod velit cuique; nostrum est autem, nostrum qui in hac tempestate populi iactemur et fluctibus ferre modice populi voluntates, adlicere alienas, retinere partas, placare turbatas; honores si magni non putemus, non servire populo; sin eos expectamus, non defatigari supplicando. E’ proprio questa la condizione dei popoli liberi e soprattutto di questo popolo-guida, signore e vincitore di tutte le genti, che si possa con i voti dare o togliere ad ognuno quel che si voglia; è invece còmpito nostro, di noi che siamo sbattuti qua e là tra i flutti di queste burrasche popolari, sopportare con pazienza gli umori del popolo, guadagnarcene la volontà, conservarne il consenso acquistato, calmarne le agitazioni; non farci schiavi del popolo se non teniamo in gran conto le cariche pubbliche; non stancarci di supplicare se invece ambiamo ottenerle.

  20. Cic.Pro Sest. 65, 137: Haec est una via, mihi credite, et laudis et dignitatis et honoris, a bonis viris sapientibus et bene natura constitutis laudari et diligi; nosse discriptionem civitatis a maioribus nostris sapientissime constitutam ; qui cum regum potestatem non tulissent, ita magistratus annuos creaverunt ut consilium senatus rei publicae praeponerent sempiternum, deligerentur autem in id consilium ab universo populo aditusque in illum summum ordinem omnium civium industriae ac virtuti pateret. Senatum rei publicae custodem, praesidem, propugnatorem conlocaverunt; huius ordinis auctoritate uti magistratus et quasi ministros gravissimi consilii esse voluerunt; senatum autem ipsum proximorum ordinum splendorem confirmare, plebis libertatem et commoda tueri atque augere voluerunt. E’ questa, credetemi, la sola via della fama, del prestigio, dell’onore: farsi apprezzare ed amare dai cittadini onesti, sapienti e ricchi di doti naturali; conoscere l’ordinamento costituzionale della nostra città, sapientemente costruito dai nostri antenati, i quali, non tollerando la signoria dei re, crearono magistrati annui, ma in modo tale da preporre ad essi il senato, consiglio permanente, espresso da tutto il popolo ed aperto a tutti i cittadini operosi ed onesti. Hanno posto il senato a tutela, guida e difesa della collettività politica; hanno voluto che i magistrati si valessero del potere d’indirizzo di questo organo e che fossero quasi ministri del suo autorevole consiglio; vollero anche che il senato rafforzasse il prestigio delle classi più elevate e tutelasse e accrescesse i diritti politici e le prerogative istituzionali della plebe.

  21. Cic., De leg. 3, 12, 27-28: Ex iis autem qui magistratum ceperunt quod senatus efficitur, populare <est> sane neminem in summum locum nisi per populum venire, sublata cooptatione censoria. Sed praesto est huius vitii temperatio, qud senatus lege nostra confirmatur auctoritas. 28. Sequitur enim: ‘eius decreta rata sunto’. Nam ita se res habet, ut si senatus dominus sit publici consilii, quodque is creverit defendant omnes, et si ordines reliqui principis ordinis consilio rem publicam gubernari velint, possit ex temperatione iuris, cum potestas in populo, auctoritas in senatu sit, teneri ille moderatus et concors civitatis status, praesertim si proximae legi parebitur; ‘is ordo vitio careto, ceteris specimen esto’. Poiché il senato si compone di coloro che hanno rivestito la magistratura, sarebbe soluzione sicuramente favorevole al popolo che, abolita la cooptazione censoria, nessuno pervenisse al sommo consesso se non per mezzo del popolo. Ma è subito pronto un temperamento per ovviare all’inconveniente di questa soluzione, in quanto l’autorità del senato risulterebbe rafforzata con la mia legge. Segue infatti il disposto: “siano validi i suoi decreti”. Il risultato sarebbe, infatti, che, se il senato fosse arbitro delle decisioni pubbliche e tutti sostenessero i suoi decreti, e le altre classi accettassero che i pubblici affari fossero gestiti con la direttiva del supremo ordine senatorio, si potrebbe con tale temperamento di poteri, risiedendo la sovranità nel popolo, l’autorità nel senato, tener salda quella forma moderata ed armonica dell’ordinamento cittadino, soprattutto se si obbedirà alla disposizione seguente; infatti la norma seguente è: “l’ordine senatorio sia privo di mende, sia di modello agli altri”.

  22. Cic.,De leg. 3, 12, 27-28: • Ruolo apicale del senato • Base popolare della composizione del senato • (soppressione della cooptatio censoria) • Potere d’indirizzo e di coordinamento politico come • strumenti esplicativi dell’auctoritas senatoria • (efficacia normativa dei decreti del senato • come contrappeso al potere legislativo • delle assemblee popolari) Auctoritas – Gubernatio rei publicae

  23. Cic,Pro Sest. 20.46: Cum vero in hanc rei publicae navem, ereptis senatui gubernaculis fluitantem in alto tempestatibus seditionum ac discordiarum, armatae tot classes, nisi ego essem unus deditus, incursurae viderentur, cum proscriptio, caedes, direptio denuntiaretur, cum alii me suspicione periculi sui non defenderent, alii vetere odio bonorum incitarentur, alii inviderent, alii obstare sibi me arbitrarentur, alii ulcisci dolorem aliquem suum vellent, alii rem ipsam publicam atque hunc bonorum statum otiumque odissent et ob hasce causas tot tamque varias me unum deposcerent, depugnarem potius cum summo non dicam exitio, sed periculo certe vestro liberorumque vestrorum, quam id quod omnibus impendebat unus pro omnibus susciperem ac subirem? Ed invero, considerato che strappato il timone dalle mani del senato, questa nave dello Stato andava alla rovina, sbattuta dai marosi delle sedizioni e delle discordie, e sembravano avventarsi tante flotte armate, se io non fossi lasciato in loro balia, mentre si minacciavano proscrizioni, stragi, saccheggi, e taluni non me difendevano per non essere coinvolti nel rischio, altri perché spinti da atavico odio contro gli ottimati, altri per invidia, altri perché mi consideravano un ostacolo da rimuovere, altri per vendicarsi da chissà quali offese, altri per odio verso la stessa istituzione politica e la pacifica convivenza degli ottimati; che per tutti questi motivi si voleva la mia resa, perché mai avrei dovuto battermi sino alla fine, ma con il sicuro risultato di provocare non dico l’estrema rovina, ma anche il solo pericolo per voi ed i vostri figli, piuttosto che accollarmi e subire io solo per la comune salvezza ciò che si minacciava a tutti?

  24. Cicerone, Pro Sextio 137, 11: Senatum rei publicae custodem, praesidem, propugnatorem conlocaverunt; huius ordinis auctoritate uti magistratus et quasi ministros gravissimi consili esse voluerunt... (Gli antichi) posero il senato custode della repubblica, preside, propugnatore; in base all’ auctoritasdi tale ordine vollero che i magistrati fossero quasi ministri dell’importantissimo consiglio...

  25. Cic,De leg. 3, 2, 5: Magistratibus igitur opus est, sine quorum prudentia ac diligentia esse civitas non potest, quorumque discriptione omnis rei publicae moderatio continetur. E’ dunque necessaria l’esistenza di magistrati, senza la cui saggia cura non può esistere un ordinamento cittadino, e tutto l’assetto organizzativo della comunità politica è fondato sul regime di quelli. Cic,De off. 1, 32, 124: Est igitur proprium munus magistratus intellegere se gerere personam civitatis debereque eius dignitatem et decus sustinere, servare leges, iura describere, ea fidei suae commissa meminisse. E’ dunque compito proprio del magistrato comprendere che egli impersona la comunità cittadina, e che ne deve sorreggere la dignità ed il decoro, salvaguardandone le leggi, tutelare i diritti di ciascuno, ricordarsi che tutti questi compiti sono stati affidati alla sua lealtà.

  26. Cic, In Pis. 3, 7 : Atque ita est a me consulatus peractus ut nihil sine consilio senatus, nihil non approbante populo Romano egerim, ut semper in rostris curiam, in senatu populum defenderim, ut multitudinem cum principibus, equestrem ordinem cum senatu coniunxerim. Queste furono le direttive da me seguite nella gestione del consolato: non fare alcun che senza il parere del senato e l’approvazione del popolo Romano, in modo da difendere dai rostri sempre il senato e in senato il popolo, sì da mettere d’accordo la moltitudine con i capi e l’ordine dei cavalieri con il senato. • Sollecitazioni • Mediazioni • Intese • Direttive • Ordini • Autorizzazioni, ratifiche • Rescissioni • Rimozioni dalla carica, • amotio di mansioni, reintegrazioni Auctoritas senatus nei rapporti con i magistrati

  27. Cic, De leg. 3.3.9: Plebes quos pro se contra vim auxilii ergo decem creassit, ei tribuni eius sunto, quodque ei prohibessint quodque plebem rogassint, ratum esto; sanctique sunto, neve plebem orbam tribunis relinquunto. Coloro che la plebe eleggerà in numero di dieci per sua difesa contro soprusi, siano i suoi tribuni; ciò che essi proibiranno e ciò che essi sottoporranno all’approvazione della plebe, sia valido; siano inviolabili e non si lasci la plebe priva di tribuni.

  28. Cic, De leg. 3, 10, 25: Quam ob rem aut exigendi reges non fuerunt, aut plebi re, non verbo, danda libertas. Quae tamen sic data est, ut multis praeclarissimis adduceretur, ut auctoritati principum cederet. Per questo motivo, o non si dovevano scacciare i re, o alla plebe doveva essere concessa una libertà sostanziale e non a parole. Questa fu, però, concessa in modo tale che la plebe, in forza di molti eccellenti strumenti organizzativi, venisse indotta a cedere all’autorità della classe dirigente.

  29. Cic, de leg. 3, 17, 39 : Quam ob rem lege nostra libertatis species datur, auctoritas bonorum retinetur, contentionis causa tollitur. Pertanto, con la nostra legge si avalla l’ideale di libertà, si conferma l’autorità degli ottimati, si elimina una causa del contendere. Cic,De leg. 3. 18. 41: Quodque addit ‘causas populi teneto’, est senatori necessarium nosse rem publicam – idque late patet : quid habeat militum, quid valeat aerario, quos socios res publica habeat, quos amicos, quos stipendiarios, qua quisque sit lege, condicione, foedere - , tenere consuetudinem decernendi, nosse exempla maiorum. Videtis iam genus hoc omne scientiae, diligentiae, memoriae, sine quo paratus esse senator nullo pacto potest. E, quanto all’aggiunta, “abbia presenti gli interessi del popolo”, è necessario che il senatore conosca le condizioni della nostra istituzione politica – il che è del tutto evidente: quale sia il numero dei militari, quali siano le risorse dell’erario, quali siano gli alleati, quali siano i popoli amici e quali i tributari, con quale legge, condizione o trattato ciascun popolo sia a noi legato - ; che si attenga alla prassi deliberativa e conosca i precedenti. Voi potete ormai scorgere in tutto ciò un genere di conoscenza, di diligenza, di memoria, senza di che un senatore non può considerarsi minimamente preparato.

  30. Tacito Ann. 4, 33, 1: Nam cunctas nationes et urbes populus aut primores aut singuli regunt : delecta ex iis et consociata rei publicae forma laudari facilius quam evenire, vel, si evenit, haud diuturna esse potest. Tutte le nazioni e le città sono rette o dal popolo o dagli ottimati o da singoli: una forma di governo composta di elementi scelti tra quelli ed insieme contemperati è più facile lodarla che attuarla; o, se pure si realizza, non può essere durevole. Tac. Ann. 1, 9, 4-5: ... non aliud discordantis patriae remedium fuisse quam ut ab uno regeretur. 5. Non regno tamen neque dictatura, sed principis nomine constitutam rem publicam. ...non era rimasto altro rimedio alle discordie della patria se non quello di sottoporla al governo di uno solo. Tuttavia, non con il regno, nè con la dittatura, ma con il nome di principe (egli) aveva ricostituito la comunità politica

  31. Svetonio, Aug. 28, 2: ‘Ita mihi salvam ac sospitem rem publicam sistere in sua sede liceat, atque eius rei fructum percipere quem peto, ut optimi status auctor dicar et moriens ut feram mecum spem, mansura in vestigio suo fondamenta rei publicae quae fecero’. Fecitque ipse se compotem voti nisus omni modo, ne quem novi status paeniteret. “Così sia a me concesso di consolidare salva ed incolume nella sua sede la comunità politica, e di averne il frutto che io desidero, quello di esser chiamato fondatore di un’ottima forma di governo e di portare con me, morendo, la speranza che dureranno incrollabili le fondamenta dell’organizzazione politica da me poste”. Ed egli adempì quel voto, sforzandosi in ogni modo di far sì che nessuno potesse dolersi del nuovo sistema di governo.

  32. Mon. Anc., VI, 34, 13-23 (= Mon. Ant. IX): 1. in consulatu sexto (28 a.C.) et septimo (27 a..C.), postquam bella civiltà exstinxeram, per consensum universorum potitus rerum omnium, rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. 2. Quo pro merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum et laureis postes aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus aureus in curia lulia positus, quem mihi senatum populumque Romanum dare virtutis clementiaeque iustitiae et pietatis caussa testatum est per eius clupei inscriptionem. 3. Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt. Durante il sesto ed il settimo consolato, dopo ch’ebbi posto termine alle guerre civili, avendo concentrato nelle mie mani, per consenso universale, tutti i poteri, trasferii la direzione della comunità politica dalla mia potestà alle libere decisioni del senato e del popolo romano. 2. Per questo mio merito fui proclamato Augusto per senatoconsulto, la porta della mia casa fu ornata pubblicamente di alloro, una corona civica fu infissa sopra la mia porta e nella curia Giulia fu posto uno scudo d’oro, la cui iscrizione attestava che il senato ed il popolo romano me l’offrivano per il mio valore, la mia clemenza, la mia giustizia e la mia pietà. 3. Dopo d’allora fui superiore a tutti per autorità, ma non ebbi alcuna potestà maggiore degli altri cittadini, che mi furono anche colleghi nella magistratura.

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