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Da Thomson ad Heisenberg. L’evoluzione dell’atomo. Dall’antichità all’Ottocento. Fino a quasi tutto l’Ottocento gli atomi vennero considerati, secondo il modello atomico di Dalton, come porzioni di materia indivisibili.
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Da Thomson ad Heisenberg L’evoluzione dell’atomo Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Dall’antichità all’Ottocento Fino a quasi tutto l’Ottocento gli atomi vennero considerati, secondo il modello atomico di Dalton, come porzioni di materia indivisibili. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Il modello, di diretta derivazione da quello del filosofo greco Democrito, era in grado di spiegare le leggi ponderali che erano state scoperte nel XVIII e XIX secolo. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
L’elettricità Lo studio dei fenomeni elettrici costrinse però a riconsiderare la struttura degli atomi. Era già noto ai Greci che l’ambra strofinata con un panno di lana era in grado di attrarre peli e steli di paglia. Anche altre sostanze come il vetro presentavano lo stesso comportamento dell’ambra (in greco “electron”) e tali fenomeni vennero chiamati elettrici. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Questi comportamenti vennero considerati una semplice curiosità per molti secoli. Solo a partire dal XVII secolo vennero studiati e spiegati ammettendo la produzione, durante lo strofinio, di cariche elettriche. Poiché ambra e vetro elettrizzati attraevano sostanze diverse si attribuì valore positivo alla carica dell’ambra e negativo a quella del vetro. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Lo studio dell’interazione tra gli oggetti carichi consentì di concludere che: cariche elettriche di segno opposto di attraggono cariche elettriche dello stesso segno si respingono le cariche elettriche possono passare da un corpo all’altro un corpo che possiede un ugual numero di cariche di segno opposto è neutro la forza che agisce tra due cariche elettriche è direttamente proporzionale al prodotto dei loro valori (Q1 e Q2) e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza (d2) (Legge di Coulomb) Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Nel 1799 A.Volta fu in grado, con la pila, di produrre elettricità attraverso reazioni chimiche. Successivamente si riuscì a far avvenire reazioni chimiche con l’elettricità, come nell’elettrolisi dell’acqua, in cui essa viene decomposta in idrogeno ed ossigeno. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
L’elettrizzazione per strofinio, la pila e l’elettrolisi dimostravano che l’elettricità, in tutti i suoi aspetti, era un fenomeno così diffuso da far pensare che essa dovesse trovare una spiegazione nella natura della materia. I fenomeni elettrici osservati nei corpi richiedevano cioè che gli atomi stessi avessero una natura elettrica. L’atomo come era stato ipotizzato da Dalton, visto che non presentava cariche, non poteva perciò interpretare i fenomeni elettrici. Alla ricerca della natura dell’elettricità, se ne studiò il passaggio in solidi, liquidi e gas. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Bagliori nel vuoto Il filone che si rivelò più ricco di risultati venne individuato da Geissler nel 1854 con lo studio del passaggio della corrente elettrica nei gas. Veniva usato un tubo di vetro con due elettrodi saldati internamente alle due estremità. Dal tubo poteva essere tolta aria fino alla pressione desiderata con una pompa aspirante. I due elettrodi venivano collegati con un generatore di differenza di potenziale e i diversi fenomeni osservati nel tubo dipendevano dalla pressione del gas presente e dalla differenza di potenziale applicata. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
A W. Crookes si devono alcune variazioni strutturali significative al tubo di Geissler tanto che esso passerà alla storia con il suo nome. I risultati più sorprendenti si ebbero con una ddp di circa 20.000 V e a una pressione residua inferiore a 0,5 mm Hg. Non si avevano i fenomeni già citati ma, dalla parte opposta del catodo (l'elettrodo negativo) il vetro emanava una fluorescenza verdastra. Si osservò che la posizione della fluorescenza era indipendente dalla localizzazione dell'anodo. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Sembrava che dal catodo uscisse qualcosa che viaggiava in linea retta attraverso il tubo, ma veniva deviato se sottoposto ad un campo magnetico o ad un campo elettrico. Il senso delle deviazioni era tale che questo "qualcosa" (che Goldstein nel 1886 chiamò raggi catodici) doveva avere una carica elettrica negativa. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Nello stesso periodo Hittorf trovava che essi non potevano passare attraverso la materia. Infatti una lamina metallica sagomata a croce di Malta ne bloccava il flusso proiettando la caratteristica ombra sul fondo del tubo. Gli anni '80 furono importanti per definire altre caratteristiche dei raggi catodici. Crookes dimostrò che i raggi catodici erano sicuramente costituiti da particelle poiché facevano girare un mulinello posto sul loro percorso, così come una manciata di sassi che colpisce un oggetto lo fa muovere. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
- - - - - - Per questi motivi si concluse che : i raggi catodici erano fatti di particelle dotate di carica negativa cui venne dato nome elettroni nel 1897 da Thomson (da un termine coniato nel 1894 da Stoney). Sulla natura corpuscolare degli elettroni sussistevano però dubbi. Lenard ed Hertz, nel 1891, rilevarono come i raggi catodici erano in grado di passare attraverso lamine sottili (1m o meno) di vari metalli (oro, alluminio etc.), così come fa la luce. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Thomson: il rapporto e/m Nel 1897 J.J. Thomson, misurando le deviazioni che subivano gli elettroni in un campo elettrico o magnetico fu in grado di determinarne il loro rapporto carica/massa. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Il valore sperimentale trovato era di 1,76108 coulomb/g , che non si discosta di molto da quello attualmente accertato. Poiché tale valore si manteneva costante sia cambiando il catodo, sia usando un gas diverso nel tubo, Thomson concluse che gli elettroni dovevano essere dei costituenti fondamentali di tutta la materia. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Questa convinzione fu rafforzata da scoperte di altri studiosi: elettroni venivano emessi da metalli colpiti da luce di particolare lunghezza d'onda (effetto fotoelettrico, spiegato poi da Einstein nel 1905), elettroni erano emessi dai metalli scaldati ad alte temperature nel vuoto (effetto termoionico) elettroni erano anche i costituenti dei raggi β (un tipo di emissione radioattiva normalmente presente in natura). Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Gli studi sul passaggio della corrente elettrica nelle soluzioni, iniziati da Faraday, avevano consentito di stabilire che l’atomo di idrogeno assumeva in soluzione una carica elettrica, di valore uguale a quella dell’elettrone ma di segno opposto, cioè positiva. Carica H+ = Carica e- Si era potuto misurare anche il rapporto carica/massa per tale ione e confrontandolo con quello dell’elettrone si concluse che: la massa dell’elettrone è 1837 volte più piccola della massa dell’atomo di idrogeno. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
La carica dell’elettrone poté essere determinata soltanto nel 1911 da Millikan. Essa risultò valere: -1,602∙10-19C e da questo dato fu possibile anche ricavare la massa dell’elettrone, pari a 9,11∙10-28g. La scoperta che l’elettrone è una particella di massa molto inferiore a quella del più piccolo atomo dimostrava che: l’atomo non può essere considerato come la più piccola porzione ottenibile di materia. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Raggi anodici: l’altra carica Goldstein nel 1886 aveva modificato un tubo di Crookes adottando un catodo costituito da una piastra metallica forata. Operando nelle stesse condizioni sperimentali che avevano portato alla formazione dei raggi catodici, egli notò che la parete di vetro dietro al catodo diveniva fluorescente in corrispondenza dei fori. Esistevano quindi anche dei raggi chiamati, per l'apparente sorgente che avevano, raggi anodici Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Vennero chiamati anche raggi canale o Goldstein; di essi si poté scoprire che erano corpuscoli con carica positiva, cioè di segno contrario a quello dei raggi catodici. Ad ulteriore differenza con i raggi catodici, il rapporto carica/massa variava a seconda del gas rarefatto presente nel tubo. I valori riscontrati erano, comunque, quasi sempre dei multipli interi del rapporto trovato con l'idrogeno. Il corpuscolo che costituiva i raggi anodici dell’idrogeno venne considerato in seguito una particella fondamentale, cioè costituente di tutti gli atomi, detta protone. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Il modello atomico di J.J.Thomson Thomson si convinse che i suoi risultati e quelli di Goldstein dovevano completarsi, e cercò un’interpretazione unica dei fenomeni osservati. Secondo Thomson i costituenti positivi e negativi dei due raggi che si riscontravano negli esperimenti, nelle condizioni normali erano vincolati insieme a formare gli atomi che così apparivano neutri. Nel tubo di Crookes la differenza di potenziale costringeva gli atomi del gas a perdere i loro elettroni trasformandoli in ioni positivi. Entrambi i gruppi di particelle, elettroni e ioni positivi, si allontanavano dagli elettrodi di ugual carica generando i due fasci di raggi osservati. I diversi valori carica/massa trovati per i raggi anodici si spiegano con il fatto che la massa era diversa per atomi di differenti elementi. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Gli atomi indivisibili di Dalton, di diretta derivazione dalle teorie del filosofo greco Democrito, cedettero il posto al nuovo modello proposto da Thomson nel 1904: l’atomo è costituito da elettroni disposti in posizioni ordinate all'interno di una sfera di carica positiva Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Il modello atomico di Thomson è stato da alcuni definito “a panettone” ove l’uvetta e i canditi rappresentano gli elettroni e la pasta rappresenta la massa con carica positiva. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Un errore comune, anche sui libri, è quello di dire che nel modello di Thomson sono presenti elettroni e protoni mescolati insieme: evitiamolo. Anche perché il protone come particella venne scoperto solo alcuni anni dopo. CORRETTO ERRATO Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Rutherford: il modello atomico planetario Nel frattempo veniva scoperta e studiata la radioattività. Prima i sali di uranio, poi quelli del radio (da cui il nome radioattività) mostrarono la capacità di emettere differenti tipi di raggi, classificati (in base al loro potere di penetrare la materia e alla loro carica) in: a (che furono identificati come atomi di elio privati dei loro elettroni), b (elettroni molto veloci), g(radiazioni elettromagnetiche con frequenza superiore ai raggi x). + b g - a Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
I raggi a furono particolarmente studiati da E.Rutherford che scoprì come essi fossero in grado di passare attraverso sottili lamine di metallo. Rutherford intuì che una verifica sperimentale del modello atomico di Thomson poteva essere fatta se si analizzavano le traiettorie assunte dai raggi a nell’attraversare la materia. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
A tale scopo vennero indirizzati raggi alfa su una sottile lamina d'oro (4 10-5cm) mentre delle lastre fotografiche disposte attorno erano in grado di rilevare le direzioni prese dalle particelle. Se il modello atomico di Thomson, che prevedeva un atomo con densità molto bassa, era corretto, non si sarebbero dovute riscontrare deviazioni consistenti. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Rutherford riscontrò che la maggior parte delle particelle passava infatti inalterata e che alcune venivano deviate con piccoli angoli. Con grande sorpresa, però, si trovò anche che, mediamente, una particella ogni 20.000 tornava indietro. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
La diffusione ("scattering") di queste poche particelle a richiedeva pertanto che esistesse nell’atomo una piccola zona, con un diametro 100.000 volte più piccolo, responsabile sia della carica positiva, sia di tutta la massa dell’atomo e quindi sufficientemente massiccia da deviare i raggi a. Visto inoltre che la maggior parte delle particelle non subiva alcuna deviazione, gli elettroni dovevano occupare da soli, e molto distanziati tra loro, tutta la rimanente parte dell’atomo. ATTESO TROVATO Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
L'insieme di queste misure e considerazioni portò al modello atomico planetario di Rutherford: l’atomo è composto di un nucleo positivo, in cui è raggruppata tutta la massa, attorno al quale girano a notevole distanza gli elettroni. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Il nucleo è piccolissimo: se fosse 1 mm posto al centro di un campo di calciogli elettroni starebbero alla distanza delle porte!! Per dare un’altra idea dello spazio ridottissimo che il nucleo occupa in un atomo, si pensi che se tutti i nuclei degli atomi della Terra potessero essere raggruppati assieme, essi formerebbero un cubo di soli 75 m di lato. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
L'atomo non era più una sfera compatta ma un aggregato di particelle molto distanti tra di loro. I nuclei di ogni elemento inoltre furono ritenuti gli aggregati del più piccolo nucleo conosciuto, quello di idrogeno. A tale nucleo di idrogeno Rutherford diede il nome di protone nel 1920. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Elettroni e nucleo: come possono stare separati? Per Rutherford era dunque necessario che gli elettroni fossero ben distanti dal nucleo e per riuscirci dovevano vincere l’attrazione esercitata dalle loro cariche opposte. L’atomo poteva esistere solo se gli elettroni erano in moto circolare attorno al nucleo. In tale situazione la forza centrifuga (repulsiva) e quella elettrostatica (attrattiva) si annullano mantenendo su un orbita costante l'elettrone. Il modello atomico di Rutherford spiegava elegantemente i dati sperimentali dello "scattering" delle particelle alfa: una particella che urtasse il nucleo ne veniva respinta, mentre essa non incontrava alcun ostacolo in tutta la zona occupata dagli elettroni. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Questo modello atomico era però in contrasto con le leggi note dell'elettromagnetismo. Secondo quest'ultimo, particelle cariche in moto non rettilineo emettono radiazioni sotto forma di onde elettromagnetiche. La conseguenza è una perdita di energia da parte dell'elettrone e la sua caduta a spirale sul nucleo in 10-8 s. Il modello di Rutherford presenta, insita, una instabilità che contrasta con tutta una serie di prove sperimentali che confermano invece la stabilità dell'atomo. Inoltre tale modello non dava alcuna spiegazione per i fenomeni spettroscopici i cui risultati andavano accumulandosi Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
I neutroni: i conti tornano Gli studi sul nucleo continuarono per capire la discrepanza esistente tra massa e carica dei nuclei degli elementi. Se la massa dei nuclei fosse stato un multiplo della massa di quello dell'idrogeno, anche la loro carica avrebbe dovuto essere rappresentata dallo stesso multiplo. Già Rutherford aveva dimostrato che i nuclei di elio erano quattro volte più pesanti di quelli di idrogeno, ma avevano invece una carica che era solo doppia. Analogamente, la massa di un atomo di calcio era quaranta volte quella dell’idrogeno, ma la sua carica nucleare era solo venti volte più grande. Tale discrepanza venne superata con la scoperta, fatta da J. Chadwick nel 1932, di una nuova particella:il neutrone. Il neutrone è dotato carica nulla e ha una massa molto simile a quella del protone. Grazie al valore della sua massa, il neutrone è in grado di spiegare i valori osservati per massa e carica. Inoltre i neutroni, neutri, si interpongono tra i protoni, con carica positiva. Ciò consente di tenere i protoni separati e di rendere minima la reciproca repulsione. Più recentemente si è scoperto che neutroni e protoni sono vincolati da una particolare forza, detta forza nucleare forte. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Protoni, elettroni e neutroni Dopo aver visto come si è riusciti a determinare l’esistenza di elettrone, protone e neutrone riassumiamo ora le funzioni che essi hanno nel determinare le caratteristiche di un elemento. Oltre ad altre particelle di cui non ci occuperemo, nel nucleo sono presenti neutroni e protoni. Protone e neutrone hanno massa molto simile, rispettivamente 1,673∙10-24 e 1,675∙10-24 g, ma mentre il primo presenta la più piccola carica elettrica positiva esistente (+1,602∙10-19C) indicata con +1, il secondo non presenta carica. + _ + Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Il numero dei protoni presenti in un nucleo, numero atomico,indicato con Z, caratterizza i diversi elementi. Pertanto un atomo con Z = 2 possiede due protoni ed è un atomo di He. Poiché in un atomo neutro il numero dei protoni è uguale a quello degli elettroni, il suo Z indica anche quanti elettroni si muovono attorno al suo nucleo. Ciò è molto importante poiché: le proprietà chimiche di un elemento dipendono dal numero di elettroni posseduti. La massa dell’elettrone vale 9,11∙10-28g e la sua carica (-1,602∙10-19C) è la più piccola carica elettrica negativa esistente, indicata con –1. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
I neutroni concorrono a tenere uniti i protoni nel nucleo e a determinare la massa dell’atomo. Il numero dei neutroni presenti in un atomo si indica con N e non è caratteristico di un elemento. Ciò significa che conoscendo soltanto N di un atomo non è possibile definire di che elemento si tratta. Il numero totale di particelle presenti nel nucleo, generalmente dette nucleoni, viene chiamato numero di massa ed indicato con A. In base a quanto già conosciamo, si potrà anche dire che: A = N + Z Per descrivere completamente un atomo è dunque necessario conoscere quanti protoni e neutroni sono presenti e si utilizza il simbolo molto frequentemente abbreviato in Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Come si può vedere la massa di un atomo viene determinata esclusivamente da neutroni e protoni poiché il contributo degli elettroni è assolutamente trascurabile. Studi più recenti hanno dimostrato che solo l’elettrone è una particella fondamentale, mentre protone e neutrone sono costituiti da particelle più piccole: i quark. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
10-10m 10-18m 10-15m Studi più recenti hanno dimostrato che solo l’elettrone è una particella fondamentale, mentre protone e neutrone sono costituiti da particelle più piccole: i quark. 10-15m 10-18m Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Gli isotopi: atomi con uguali protoni e differenti neutroni Nello studio della radioattività e dei raggi anodici si era evidenziata l’esistenza di differenti versioni di uno stesso elemento. Esse si diversificavano per la massa ma, avendo uguale comportamento chimico, dovevano essere messe “allo stesso posto” nell’elenco degli elementi e per questo presero il nome di isotopi (termine coniato da Soddy nel 1910) Grazie alla scoperta del neutrone sappiamo che: gli isotopi di un elemento sono atomi che presentano uguale numero di protoni ma diverso numero di neutroni. Consideriamo, ad esempio, due atomi entrambi con due protoni contenenti rispettivamente due e tre neutroni. Sono entrambi isotopi dell’elio che si indicheranno, nella notazione semplificata con 4He e 5He ( si leggono elio-quattro ed elio-cinque). A titolo di ulteriore esempio vengono riportati in tabella i tre isotopi esistenti dell’idrogeno, ricordando che solo per essi esiste un nome proprio. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Consideriamo, ad esempio, due atomi entrambi con due protoni contenenti rispettivamente uno e due neutroni. Sono entrambi isotopi dell’elio che si indicheranno, nella notazione semplificata con 3He e 3He (si leggono elio-quattro ed elio-cinque). A titolo di ulteriore esempio vengono riportati in tabella i tre isotopi esistenti dell’idrogeno, ricordando che solo per essi esiste un nome proprio. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
La stabilità dei nuclei Poiché all’interno del nucleo protoni e neutroni vanno progressivamente occupando dei livelli energetici, come succede per gli elettroni, è inevitabile che alcune disposizioni siano più stabili di altre. In particolare: un nuclide che presenti un numero pari di protoni, di neutroni o, meglio ancora di entrambi è favorito energeticamente, e quindi stabile nel tempo. Se si pongono in grafico, con N come ordinata e Z come ascissa, i nuclidi noti vediamo che quelli stabili si raggruppano in una fascia. Per bassi valori di Z, fino a circa 20, i nuclidi stabili sono caratterizzati da un ugual numero di neutroni e protoni (N / Z=1). Al crescere del numero atomico il discostamento dalla linea centrale indica che occorrono sempre più neutroni per mantenere stabile il nucleo fino ad arrivare a 209Bi il più pesante isotopo stabile conosciuto in cui N/Z=1,5. Al di sopra del bismuto (Z = 83) infine non esistono più nuclidi stabili, Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Un radionuclide appartenente alla zona di instabilità tende ad evolvere verso una situazione nucleare caratterizzata da un miglior bilanciamento tra protoni e neutroni o in ogni modo verso un minor contenuto di energia. L’insieme dei fenomeni che consentono ad un nucleo di arrivare ad una maggior stabilità viene denominato decadimento radioattivo. Esistono diversi decadimenti radioattivi e quello seguito da un radionuclide dipende dalla sua composizione. Analizzeremo ora i più importanti decadimenti. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Decadimento a Questa emissione è caratteristica di nuclidi molto pesanti (A>200). Essi emettono una particella a, un nucleo di elio formato da due protoni e due neutroni. Il nucleo che la emette viene così ad avere un numero atomico inferiore di due unità ed un numero di massa più piccolo di quattro unità: 23892U 23490Th + a Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Decadimento b- E’ caratteristico di nuclidi che si trovano alla sinistra della banda di stabilità e quindi con un eccesso di neutroni. In tale situazione un neutrone diventa un protone e viene emesso un elettrone (b-) accompagnato da un antineutrino elettronico. Il nuclide che si forma ha Z maggiore di una unità mentre il numero di massa rimane invariato Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Decadimento b+ E’ relativo a nuclidi che si trovano alla destra della banda di stabilità e quindi con un numero di neutroni più basso rispetto a quello necessario per assicurare la stabilità. E’ molto probabile con elementi a basso Z. In questo decadimento viene emesso un positrone (b+), in seguito alla trasformazione di un protone in neutrone, accompagnato da un neutrino elettronico. Il nucleo che si forma ha Z inferiore di una unità, mentre A rimane invariato Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr
Emissione g In molti casi i nuclei che hanno appena subito uno dei precedenti decadimenti, rimangono eccitati e tornano al loro stato fondamentale per perdita di un fotone. Poiché i livelli energetici nucleari hanno differenze più elevate che quelle elettroniche, il fotone liberato è dotato di altissima energia (raggi g). Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr