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POLITICHE INDUSTRIALI PER LO SVILUPPO. Augusto Ninni Università di Parma a.a. 2008-2009. LE POLITICHE INDUSTRIALI DEI PAESI DELL’(EST) ASIA. “The East Asian Miracle”. “The East Asian Miracle”, WB, 1993: Per la prima volta si riconosce l’esistenza della PI nell’Asia non giapponese.
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POLITICHE INDUSTRIALI PER LO SVILUPPO Augusto Ninni Università di Parma a.a. 2008-2009
“The East Asian Miracle” “The East Asian Miracle”, WB, 1993: • Per la prima volta si riconosce l’esistenza della PI nell’Asia non giapponese
La differenza è importante: sino ad allora WB riteneva che in Asia solo il Giappone (con il mitico MITI) aveva avuto una PI (cfr con Usa: Magaziner e D’Andrea-Tyson); • in genere WB contrapponeva il successo dei paesi dell’Est Asia, che si “erano affidati al libero mercato” e all’export promotion, ai paesi dell’America Latina che, con insuccesso, si erano affidati all’Import Substitution
Gli argomenti comuni di successo dei paesi asiatici sono: • La stabilità macroeconomica (data dallo Stato) • Il livello elevato di educazione primaria (dato dallo Stato) • Un livello di informazione-onestà (incentivata) dei pubblici amministratori, almeno rispetto ai livelli degli altri PVS • Una soluzione precedente ai problemi di approvvigionamento alimentare del paese • Una forte coesione sociale intorno ad alcuni temi unificanti • La (relativa) assenza di problemi di distribuzione del reddito • Una politica di riferimento al mercato estero (indirizzata dallo Stato) • L’etnia cinese più un aspetto per definizione non esportabile: • la loro localizzazione (vicino al Giappone)
I risultati sono una formidabile crescita per le Quattro Tigri (Corea, Taiwan, Singapore, Hong Kong) e i tre Tigrotti (Indonesia, Malaysia, Thailandia): solo le Filippine restano al palo (non si parlava ancora di boom cinese) Però la loro performance non è ripetibile: • Mancano alcune caratteristiche specifiche • Il clima internazionale è molto cambiato
Le diversità tra i paesi dell’Estremo Oriente • L’etnia cinese non è rilevante in Corea (anche se lo è molto in Indonesia e Malaysia) • Hong Kong e Singapore sono due città-Stato, che per la loro dimensione non possono “chiudersi” al commercio internazionale, gli altri paesi sono relativamente grandi (Corea = Spagna) • Corea è il paese dei grandi gruppi (chaebol), Taiwan il paese della piccola impresa
Indonesia è un paese gigantesco, cresciuto diversificando dal petrolio e basandosi sulla trasformazione delle materie prime • Thailandia si è affidata al tessile e all’industria leggera • Malaysia cresce sulle materie prime (gomma) ma si lancia in un protezionismo esagerato • Malaysia e Thailandia cercano di affidarsi all’industria automobilistica nazionale (!)
Corea prima passa per IS, poi definisce i piani settoriali, infine le performance di grande impresa, e il mercato estero serve a questo (bastone e carota: Rodrik): quota di mercato internazionale come variabile “difficile da ottenere” e misurabile • Per fare questo si basa sulla selezione del credito, sugli incentivi fiscali, sulla possibilità di utilizzo di “prezzi politici” per i servizi, soprattutto sui sussidi all’impresa “sub condicione • non apre agli investimenti esteri (salvo il Giappone) • A somiglianza dei keiretsu giapponesi, i chaebol includono grandi imprese che diventano presto tra i leader internazionale nelle industrie e dei beni di investimento e di consumo durevole ( Samsung, LG, Daewoo, Hyundai ecc.)
Taiwan utilizza pesantemente gli IDE, sia giapponesi che americani: grazie a una notevole flessibilità del lavoro costituisce un sistema di piccole imprese e si concentra sull’industria elettronica (Acer, Asus) dapprima nelle fasi di lavorazione su commessa • L’efficacia della sua rincorsa tecnologica è tale che arriva in breve tempo a una posizione quasi monopolistica nella produzione di parti e pezzi staccati di computer e nella produzione di prodotti finiti
Singapore attua una politica di indirizzo della PI e dell’apparato industriale molto precisa: sviluppatosi in un primo momento su petrolchimica e industria leggera, si specializza sempre più nelle produzioni a più alto valore aggiunto, e più di recente è attiva quasi solo nel terziario avanzato (trionfo del ciclo di vita del prodotto)
Elementi di PI in comune • La PI come coordinamento delle attività di imprese separate (investimenti complementari, cartelli di crisi) • La PI come coordinamento di investimenti concorrenti (“competing investments”) evita capacità in eccesso (non sempre export come via d’uscita, per segmentazione mercato)
In caso di errori di coordinamento, fusioni forzate • Controllo del livello dei costi dell’industria (in caso di economie di scala ricerca di MES) tramite erogazione di licenze per le industrie, domanda pubblica, “export requirements”, sussidi, per costruire con “capacità ottimale” nessun problema di antitrust
PI difensive (picking the losers): sussidi alle imprese in caso di perdite, purchè riducano la loro capacità • A differenza di altri paesi, erano misure temporanee (mentre ad es. in Europa si difendevano le industrie esistenti, qui le si protegge per il tempo necessario all’aggiustamento) • Inoltre legate a indicatori di performance, così riducendo gli sforzi rent seeking
Elevato livello di competenza del Governo • Elevati livelli salariali degli impiegati pubblici (per premiare la competenza, per ridurre le possibilità di corruzione) • Forte livello di coesione sociale e assenza (relativa) di tensioni interne, alimentata da assenza di governi democratici
PI e crisi finanziaria • La crisi finanziaria del 1997-98 ha colpito più duramente i paesi del Sud Est asiatico (Indonesia, Malaysia, Thailandia) dove però IP è stata relativamente meno realizzata (salvo Malaysia) • La crisi ha riguardato più gli investimenti finanziari e immobiliari che quelli in capitale fisso (o in R&D)
La crisi ha colpito la Corea, ma questo aveva smantellato l’armamentario di PI già dal 1993 (tranne i sussidi in R&S per alcuni comparti high tech) • Tuttavia l’eccessiva grandezza dei chaebol li ha sottoposti a crisi di indebitamento • Ma più in generale la PI non ha portato a eccessi di capacità produttiva
PI nel nuovo contesto da OMC: praticamente impossibile replicare la vecchia PI Due delle Quattro Tigri mutano un po’ pelle: • Corea entra in Oecd nel 1996; • Hong Kong “entra” nella Cina nel 1997;
Oggi la PI dei paesi asiatici non ha caratteristiche particolari, anche perché il contesto è cambiato: • Nuove regole del gioco OMC • Cina come esportatore “spiazza” i paesi asiatici • APEC in parte si contrappone ad Asean • Ma PI passata in parte ha consentito “upgrading” delle produzioni, grazie anche al forte investimento in capitale umano
L’impostazione classica • Negli anni 50, 60 e 70 i paesi dell’America Latina hanno fatto un ricorso massiccio all’import-substitution • al riparo di elevati dazi e barriere non tariffarie, hanno cercato di sviluppare l’industria nazionale (più o meno “infant”) senza fare particolare riferimento alle esportazioni
Questo approccio deriva in parte dall’analisi di Singer-Prebisch (CEPAL) del deterioramento secolare delle ragioni di scambio fra materie prime e manufatti: • ritenendo di avere vantaggi comparati solo nell’export di materie prime, hanno preferito cercare di sostituire le importazioni di beni non (ancora) prodotti nel paese con la crescita della produzione interna
Un approccio export led li avrebbe condotti quindi a esportare materie prime e importare manufatti, nonostante un deterioramento dei prezzi relativi • Pertanto i PVS dell’America latina si ripromettevano sin dall’inizio di cambiare specializzazione, mentre i paesi asiatici (che, soprattutto al Nord Est, non esportavano materie prime) intendevano mantenerla, rimanendo più competitivi per i bassi livelli salariali iniziali
Inoltre il mercato interno dei principali paesi dell’America latina era di dimensioni ragguardevoli (la Colombia ha circa un terzo in più di popolazione della Corea) e il livello di reddito pro capite era ben più alto rispetto all’Asia (almeno fino agli anni 70)
Il risultato fu mediocre: • tassi di crescita del Pil e della produzione industriale bassi (sul 2 %) • industria esportatrice non diventa competitiva • arretramento relativo nelle quote di mercato mondiale all’export • Forte peggioramento nel disavanzo pubblico • Aumenti dei salari in condizioni di economia protetta; inflazione elevata • Corruzione
Cambio di rotta Cambiamento di rotta tra seconda metà degli anni Ottanta e primi anni Novanta (con Washington Consensus): • Liberalizzazione del commercio • Privatizzazioni • Deregulation dei mercati interni
Risultati ottenuti: • Sviluppo dell’industria di assemblaggio (maquilladora messicana) • Enfasi sull’industria automobilistica (Argentina, Brasile, Messico) ambedue come frutto di maggiore disponibilità verso FDI e politiche esplicite
Mentre: • Forte crescita dell’industria capital-intensive e trasformatrice di materie prime • Scarso sviluppo dei segmenti high tech (elettronica, semiconduttori) • Perdita di qdm per prodotti tradizionali (tessili, calzature, abbigliamento) Effetti non cercati
Riforme non soddisfacenti: nuovo cambio di rotta (1996-1998) si critica l’effetto di fiducia nel mercato nuove politiche industriali • Piani a lungo termine espliciti, risultanti da pubblico dibattito (su ricerca del consenso con imprenditori) • Documento discussione del documento varo di istituzione nuova adozione della politica
Questi documenti aspirano a migliorare la competitività dei produttori locali in un contesto di mercato aperto e integrato (no a IS, no a sussidi) • Compito del governo: fornire beni pubblici e stimolare la produzione di beni con esternalità positive
In generale questi documenti invitano a tener conto che il mondo in cui si opera è integrato, cioè esistono “gruppi” e “catene” internazionali, localizzati in varie aree
Partendo da questo si tratta di • costruire “piani strategici diretti a rimuovere ostacoli istituzionali o regolatori • Ridefinire lo scopo delle politiche di credito, o di export promotion, in termini di obiettivi settoriali • Disegnare strategie di riconversione industriale • Indurre processi di trasferimento tecnologico • Generare una maggiore integrazione delle “filiere” di produzione per aumentare la produttività
In questo ambito c’è spazio anche per le istituzioni: • Che definiscano e proteggano i diritti di proprietà • Che facciano rispettare i contratti • Che gestiscano e regolino l’elemento di monopolio naturale delle utilities • Che si occupino di regimi di bancarotta/insolvenza per imprese che operino in mercati non competitivi
A loro volta i paesi adottano una larga quantità di strumenti (incentivi finanziari e i fiscali per l’export – incluse le Export Processing Zones, e incentivi fiscali e finanziari diretti alla produzione e all’investimento, talvolta specifici per alcuni settori)
Oltre agli interventi orizzontali (export promotion, supporto alle PMI, ricerca), permane un approccio settoriale molto netto (pesca del salmone in Cile) • Quelli che non compaiono più sono gli strumenti basati su discriminazione (da OMC)