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I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. TIFORMA c/o UNIONCAMERE Firenze, 23 e 31 ottobre 2013 Relatore Avv. Gabriele Martelli Avvocato del Foro di Firenze – Consulente per Enti Locali e Aziende. 1.

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I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

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  1. I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE TIFORMA c/o UNIONCAMERE Firenze, 23 e 31 ottobre 2013 Relatore Avv. Gabriele Martelli Avvocato del Foro di Firenze – Consulente per Enti Locali e Aziende 1

  2. I reati contro la pubblica amministrazione sono suddivisi in due settori. Da un lato si collocano i reati che rappresentano un’aggressione ad interessi della pubblica amministrazione che proviene dall’interno della stessa, cioè commessi da soggetti che appartengono alla pubblica amministrazione. Si tratta di reati propri commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio (articolo 314-335). E’ poi prevista un a seconda categoria di reati commessi da privati ai danni della pubblica amministrazione (articoli 334-356), comprendente situazioni molto diverse, quali, ad esempio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale, i reati di oltraggio e di interruzione di pubblico servizio. 2

  3. E’ ESTREMAMENTE IMPORTANTE ACCERTARE quando un soggetto può essere definito pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio. La versione originaria del codice conteneva due definizioni sostanzialmente tautologiche; infatti, si riteneva pubblico ufficiale il soggetto che svolgeva una pubblica funzione ed incaricato di pubblico servizio chi svolgeva un pubblico servizio. Il legislatore del 1990, con la legge 86, nel quadro di una modifica non complessiva, ma sicuramente articolata, dei reati contro la pubblica amministrazione, ha cercato di affrontare la questione cercando di offrire qualche indicazione in più rispetto al passato. 3

  4. ARTICOLO 357 CODICE PENALE – Nozione di pubblico ufficiale [1] Agli effetti della legge penale sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. [2] Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi. ARTICOLO 358 CODICE PENALE – Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio: [1] Agli effetti della legge penale, sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. [2] Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale. Che differenze ci sono tra Pubblico Ufficiale ed incaricato di pubblico servizio? I pubblici ufficiali sono coloro che esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. - Ricoprono una pubblica funzione legislativa i membri del Parlamento ed i membri dei Consigli Regionali. - Ricoprono una pubblica funzione giudiziaria, concetto forse meno intuitivo di quello precedente, ma ricollegabile all’esercizio di uno dei classici poteri individuati dalla tripartizione risalente a Montesquieu, coloro che operano nel settore della giurisdizione, compresi i soggetti che non svolgono propriamente una funzione giurisdizionale, ma una semplice funzione di supporto alla stessa. 4

  5. Area magmatica e di difficile individuazione risulta quella residuale, che, in maniera puramente riassuntiva, viene definita pubblica funzione amministrativa. Il legislatore del 1990 ha cercato di cimentarsi proprio su questo terreno, dettando qualche direttiva di identificazione. Ai sensi del secondo comma dell’articolo 357, si considera pubblica funzione amministrativa quella disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi. La norma enuncia, inoltre, una serie di parametri (concetti di formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione oppure il suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi) che servono proprio per distinguere il pubblico ufficiale dall’incaricato di pubblico servizio.

  6. Infatti per pubblico servizio, ai sensi del secondo comma dell’articolo 358, si intende un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione. Alla persona incaricata di pubblico servizio però non sono attribuiti i poteri tipici della pubblica funzione. Inoltre, situazioni che, di per sé, rientrerebbero nella definizione di pubblico servizio, vengono escluse per evitare un’eccessiva dilatazione delle qualifiche soggettive (e quindi dell’applicazione dello Statuto Penale della Pubblica Amministrazione). Non sono considerate persone incaricate di pubblico servizio coloro che svolgono semplici mansioni di ordine o prestano opera meramente materiale. Dall’analisi delle due disposizioni, così come sono state riformulate da legislatore nel 1990, si evince che, in definitiva, la prima operazione da effettuare (di fatto piuttosto difficoltosa) consiste nell’identificare l’attività pubblicisticamente qualificata, all’interno della quale occorrerà poi distinguere la pubblica funzione dal pubblico servizio in senso stretto, contrapponendolo alle attività di natura privata (non soggette allo Statuto Penale della Pubblica Amministrazione). Proprio in quest’ambito si gioca la partita più importante in quanto una volta che è stato chiarito che un certo settore rientri tra le attività pubblicisticamente rilevanti sarà sufficiente individuare l’esercizio di determinati poteri, segnalati nella seconda parte della definizione della funzione amministrativa, per distinguere tra pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio. In pratica, risulta pubblico ufficiale il soggetto che ricopre poteri autoritativi ed autocertificativi che lo distinguono dal semplice incaricato di pubblico servizio, cui questi poteri non sono attribuiti. 6

  7. Come si identificano le attività di natura pubblicistica? La risoluzione del problema inerente l’identificazione dell’attività che possa rientrare nella definizione di pubblica amministrazione, venendo di conseguenza regolamentata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, risulta fondamentale perché determina l’applicazione della disciplina penalistica. Infatti, deve essere tenuto ben presente che il ricorso alla disciplina penalistica prevede in alcune situazioni l’applicazione del reato A anziché del reato B (vedi ad esempio la dicotomia peculato – appropriazione indebita) ed in altri casi l’applicazione di una norma penale in vicende che se commesse da un privato risulterebbero penalmente irrilevanti (rifiuto di atti d’ufficio, abuso d’ufficio, ecc…). NON E’ SEMPLICE CAPIRE QUANDO SIAMO DIFRONTE AD UN’ATTIVITA’ DI NATURA PUBBLICISTICA.

  8. Anzitutto attività pubblicistica non significa ATTIVITA’ SVOLTA DA UN SOGGETTO PUBBLICO essendo sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalità pubbliche. Si tratta dunque di attività regolamentate da norme di diritto pubblico, che vincolano l'operatività dell'agente o ne disciplinano la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla libertà di agire quale contrassegno tipico dell'autonomia privata. E COSA SONO LE NORME DI DIRITTO PUBBLICO? Sono norme con cui una determinata attività viene finalizzata al perseguimento di interessi pubblici ed in cui la pubblica autorità interviene in maniera più vincolante e più presente che in altri settori. (Per quanto attiene alle Camere di Commercio non si dimentichi che queste sono menzionate tra le Pubbliche Amministrazioni di cui al D. Lgs. 165/2001 e quindi senz’altro la loro attività ha finalità pubbliche, anche se non necessariamente tutta l’attività)

  9. Le norme di diritto pubblico (che appunto delimitano l’attività e l’area pubblicisticamente rilevante, all’interno della vengono individuati i P.U. ed I.P.S.) sono norme volte al perseguimento di una pubblica finalità ed alla tutela di un interesse pubblico e, come tali, contrapposte alle norme di diritto privato (che perseguono un fine privato) LA NATURA PUBBLICISTICA DELL’ATTIVITA’ DEVE ESSERE VERIFICATA IN CONCRETO IN BASE AD UN CRITERIO OGGETTIVO FUNZIONALE Ad esempio l’attività del funzionario della Cassa Edile che cura la riscossione delle somme versate dagli imprenditori del settore edilizio a titolo di accantonamento della parte di retribuzione differita dovuta ai propri dipendenti e la successiva erogazione a questi ultimi delle medesime somme, che concernono il trattamento economico contrattuale relativo alle ferie, alla gratifica natalizia e alle festività infrasettimanali, meccanismo questo imposto dalle peculiari connotazioni dello specifico rapporto di lavoro e dall'esigenza di garantire ai lavoratori del settore minimi salariali inderogabili, è un’attività pubblicistica ed il funzionario E’ SENZ’ALTRO UN INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO PERCHE’ svolge un’attività diretta oggettivamente al raggiungimento della pubblica finalità ex «art. 36 Cost. di «assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria»

  10. Un dirigente/dipendente di un ente che compie un’attività ed emette un atto/provvedimento che incide sulla programmazione dell’ente, sull’assetto organizzativo e sulla destinazione specifica delle risorse finanziarie disponibili compie senz’altro un’attività di natura pubblicistica, che concorre alla formazione della volontà dell’ente, ed essendo titolare, in forza della sua posizione, di poteri autoritativi, è P.U.

  11. Il commercio, invece, in genere si rivolge al pubblico, ma non risulta un pubblico servizio, anche se nel suo ambito si incontrano situazioni non sempre chiare (le farmacie, per esempio, seguono una disciplina che potrebbe consentire di qualificarle come pubblico servizio). In pratica, è presente una serie di settori in cui il problema si pone in maniera più complessa di quanto potrebbe apparire a prima vista. In questi campi non si può mai dare per scontato che vi sia una qualifica pubblicistica in gioco in quanto è necessario analizzare attentamente la disciplina di settore I dipendenti bancari non sono considerati I.P.S. perché svolgono un’attività imprenditoriale di natura privata. I portieri dell’ospedale non sono considerati incaricati di pubblico servizio perché svolgono un’attività di mera custodia senza fornire un contributo concreto alle finalità del servizio pubblico

  12. UNA VOLTA DELINETA L’AREA PUBBLICISTICAMENTE RILEVANTE SI DISTINGUE COME DETTO TRA: • Chi ha poteri autoritativi o certificativi è PUBBLIO UFFICIALE • Chi non ha tali poteri è INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO salvo che svolgasemplici mansioni d’ordine o attività puramente materiali. Si tratta di soggetti che svolgono la loro attività inquadrati nell’ambito di un pubblico servizio, ma non risultano incaricati di pubblico servizio perché il loro compito è puramente esecutivo o comunque si esaurisce nel compimento di attività meramente materiali. E’ QUI CHE, NELLA VITA QUOTIDIANA, SI GIOCA LA PARTITA PiU’ IMPORTANTE: MA COME SI FA A CAPIRE SE L’INCARICATO SVOLGE SOLO MANSIONI D’ORDINE O PURAMENTE MATERIALE? Dottrina e giurisprudenza sostengono che per includere un soggetto nel novero degli incaricati di pubblico servizio sia necessaria la possibilità di svolgere un’attività almeno autonoma (se non discrezionale). Occorre dunque accertare se i compiti risultino meramente esecutivi o implichino un ambito, seppure molto ristretto, di scelta 12

  13. Ad esempio, l’autista di un mezzo pubblico, NON E’ CONSIDERATO I.P.S. in virtù del fatto che è tenuto ad eseguire un’attività prevalentemente programmata da altri e NON HA ALCUN MARGINE DI AUTONOMIA E DI SCELTA. Qualche discussione in più si è avuta riguardo gli autisti di mezzi di soccorso (autoambulanze) cui, in alcuni casi è stata attribuita la qualifica di incaricati di pubblico servizio. Il tassista NON è CONSIDERATO I.P.S. in quanto l’attività non lascia al soggetto margini di autonoma determinazione. Il tassista è, infatti, obbligato a contrarre con il pubblico ed è obbligato a seguire il percorso più conveniente per raggiungere la meta indicatagli dal cliente (quindi si presenta con una veste analoga a quella dell’autista della linea filoviaria, tranviaria o automobilistica che è tenuto a seguire un percorso più o meno obbligato ed è privo di margini di autodeterminazione). L’operatore ecologico non è considerato IPS perché svolge funzioni meramente materiali. 13

  14. UNA DELLE TEMATICHE PIU’ DISCUSSE E’ QUELLA RELATIVA ALLA QUALIFICAZIONE DI INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO PER CHI “GESTISCE” I CONTRATTI DI APPALTO Secondo la giurisprudenza che si è formata su tale specifica questione, il pubblico servizio deve comportare una prestazione resa da un soggetto pubblico (o privato che, in forza di diversi meccanismi giuridici, si sostituisca a quello pubblico) alla generalità degli utenti (Cass., sez. un. 30 marzo 2000, n. 71). La nozione di pubblico servizio come prestazione resa alla generalità, da parte di un soggetto, anche privato, che sia inserito nel sistema dei pubblici poteri o sia a questi collegato e che sia sottoposto ad un regime giuridico derogatorio dal diritto comune (Cass. sez. un. 30 marzo 2000, n. 72) è condivisa anche dal CDS. Sulla scia dell'adeguamento agli altri ordinamenti europei (Cons. Stato, ad. plen. ord. 30 maggio 2000, n. 1), la nozione di servizio pubblico nel sistema nazionale postula una sua interpretazione in senso oggettivo, intesa come prestazione necessaria a favore della generalità (art. 16 -ex 7D- del Trattato CE) e si presta a ricomprendere, nell'alveo dei servizi di interesse generale, le attività di servizio, commerciale o non, considerate d'interesse generale dalle pubbliche autorità, e per tale ragione sottoposte ad obblighi specifici di servizio pubblico (cfr. art. 16 -ex art. 90- del Trattato CE).

  15. Secondo il diritto comunitario primario e il diritto nazionale, va esclusa dall'alveo dei pubblici servizi la fornitura di beni ad un'amministrazione aggiudicatrice o ad un ente aggiudicatore da parte di un soggetto privato, in esecuzione di un contratto di appalto, solo quando la fornitura stessa sia estranea alla specifica missione dell'amministrazione o dell'ente: al compito cioè che essi assolvono nell'ambito dell'ordinamento e ne giustifica la prerogativa dello speciale regime pubblicistico (Cass. sez. un. 23 aprile 2008, n. 10443; 12 novembre 2001, n. 14032; 12 febbraio 1988 n. 1500); e ciò diversamente dall'affidamento della gestione di servizi aggiuntivi o integrativi che si pongono come accessorio rispetto al servizio reso alla generalità, di cui costituiscono complemento essenziale per il corretto funzionamento ed esercizio (Cass. sez. un. 27 maggio 2009, n. 12252).

  16. Ad esempio è indubbio il carattere di complementarità della fornitura, manutenzione e gestione delle paline indicatrici di fermata, rispetto al servizio di trasporto esercitato. Anche il dipendente addetto allo svolgimento delle funzioni di tesoriere riveste la qualità di persona incaricata di pubblico servizio, in considerazione del ruolo servente del reparto di amministrazione finanziaria cui è preposto e del rapporto di diretta complementarietà rispetto al buon funzionamento dell'erogazione dei servizi (e pertanto risponde ad esempio di peculato . Cass. Pen. 42098/2009).

  17. I SINGOLI REATI CONTRO LA P.A. Con tale accezione vengono identificate situazioni che possono essere realizzate soltanto da chi occupa una determinata posizione all’interno dell’ordinamento, rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, una qualifica quindi penalisticamente rilevante. Questo gruppo di fattispecie costituisce quello che con formula riassuntiva viene indicato come lo “Statuto penale della pubblica amministrazione”, cioè quella disciplina che riguarda la pubblica amministrazione in senso lato. Lo Statuto Penale della pubblica amministrazione prevede fattispecie reato che se commesse da soggetti non inquadrati nella pubblica amministrazione non costituirebbero illecito penale (ad esempio, l’omissione di atti d’ufficio individua comportamenti che fuori dal settore pubblico non hanno alcuna rilevanza penale), oppure darebbero vita ad una diversa imputazione (ad esempio certe forme di peculato se non fossero previste come tali sarebbero punibili ai sensi dell’appropriazione indebita). 17

  18. IL REATO DI CORRUZIONE, CONCUSSIONE ED INDEBITA… IL REATO DI CORRUZIONE E’ STATO MODIFICATO DALLA L. 190/2012 Prima della L. 190/2012 il codice penale distingueva due tipi di reati di corruzione: • Il reato di corruzione per un atto di ufficio ex art. 318 (c.d. corruzione impropria) ove il fatto incriminato al comma primo era quello del “pubblico ufficiale che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta o ne accetta la promessa” (c.d. corruzione impropria antecedente) e, al comma secondo, quello del pubblico ufficiale che “riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto” (c.d. corruzione impropria susseguente). Esempio di scuola: il pubblico ufficiale al fine di ottenere il pagamento di una tangente ritarda il rilascio di una licenza ad un privato legalmente qualificato ad ottenere tale licenza. • Il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio ex art. 319 (c.d. corruzione propria) ove il fatto incriminato era (e tutt’oggi è) quello del “pubblico ufficiale che per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio riceve per sé o per un terzo denaro od altra utilità o ne accetta la promessa” . Esempio di scuola: il privato chiede al pubblico ufficiale l’ottenimento di un servizio che non ha diritto ad avere. La differenza tra i due reati si basava proprio sul binomio atto conforme (318 c.p.c.) e atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.).

  19. Dunque l’elemento (c.d. costitutivo) dei reati era rappresentato proprio dall’atto conforme (318 c.p.) o contrario (319 c.p.) ai doveri d’ufficio e la pubblica accusa (visto il principio costituzionale di presunzione di innocenza sino a prova contraria) doveva provare (al di là di ogni ragionevole dubbio) la sua esistenza ED ANCHE che proprio in ragione di tale atto il pubblico ufficiale aveva ottenuto (o accettato la promessa di) una utilità non dovuta. Tale operazione però era particolarmente complessa, soprattutto in situazioni di illegalità diffusa, dove la dazione di una utilità andava a remunerare un pubblico ufficiale per atti assunti da altri pubblici ufficiali vicino al primo, in una logica di scambi e protezioni reciproche. Inoltre l’individuazione dello specifico atto oggetto di scambio risultava difficile nel caso di pubblici ufficiali c.d. “a libro paga”intendendo con ciò il pubblico ufficiale che veniva dal privato “pagato in maniera forfettaria o periodicamente non perché compia un determinato atto o ometta un determinato atto, ma perché sia disponibile a compiere od omettere tutti gli atti che dovessero essere utili al privato, che lo sovvenziona”. In questi casi ciò che viene pagato e remunerato non è un atto bensì l’impegno ad attivarsi su ordine del privato 19 19 19

  20. Per sopperire a tale difficoltà la giurisprudenza (sia pure con riferimento alla sola corruzione propria) non solo ha attribuito alla nozione di atto di ufficio, intesa dunque in senso lato, una vasta gamma di comportamenti, effettivamente o potenzialmente riconducibili all'incarico del pubblico ufficiale (e quindi non solo il compimento di atti di amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di proposte, l'emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato (seppur individuabi): (vedi, tra le altre, Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006,; Sez. 6, n. 23804 del 17/03/2004), ma è giunta anche a prescindere dalla necessaria individuazione, ai fini della configurabilità del reato, di un atto al cui compimento collegare l’accordo corruttivo, ritenendo sufficiente che la condotta presa in considerazione dall'illecito rapporto tra privato e pubblico ufficiale sia individuabile anche genericamente, in ragione della competenza o della concreta sfera di intervento di quest'ultimo, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di atti singoli non preventivamente fissati o programmati (Sez. 6, n. 30058 del 16/05/2012; Sez. 6, n. 2818 del 02/10/2006), sino al punto di affermare che integra il reato di corruzione (in particolare di quella cosiddetta "propria“) SIA l'accordo per il compimento di un atto non necessariamente individuato "ab origine“ ma comunque individuabile, SIA l'accordo che abbia ad oggetto l'asservimento - più o meno sistematico - della funzione pubblica agli interessi del privato corruttore, che si realizza nel caso in cui il privato prometta o consegni al soggetto pubblico, che accetta, denaro od altre utilità, per assicurarsene, senza ulteriori specificazioni, i futuri favori (Sez. fer., n. 34834 del 25/08/2009). 20 20 20

  21. Tale orientamento giurisprudenziale è stato positivizzato dal legislatore che con la L. 190/2012 ha riscritto l’art. 318 c.p. lasciando però immutato l’art. 319 c.p. (relativamente al quale sono state inasprite le pene). Il nuovo art. 318 c.p. rubricato, oggi, semplicemente “Corruzione per l’esercizio della funzione” dispone che “Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. Le differenze rispetto al vecchio art. 318 c.p. sono molteplici: 1) Anzitutto viene meno la distinzione tra corruzione impropria antecedente e susseguente 2) Il secondo e più evidente segno di differenziazione tra la vecchia e la nuova ipotesi di “corruzione impropria” è rappresentato dalla soppressione del necessario collegamento della utilità ricevuta o promessa con un atto, da adottare o già adottato, dell’ufficio, divenendo quindi possibile la configurabilità del reato anche nei casi in cui l’esercizio della funzione pubblica non debba concretizzarsi in uno specifico atto (recependo così l’interpretazione giurisprudenziale sopra esposta). La nuova norma pur continuando ad essere formalmente rubricata come “corruzione”, avrebbe in realtà introdotto, secondo alcune prime letture dottrinali, la figura di un vero e proprio “asservimento” del soggetto pubblico ai desiderata del soggetto privato, stante la non necessità di dimostrare appunto un legame tra il compenso ed uno specifico atto di ufficio. 21 21 21

  22. NOTA CRITICA: La eliminazione dalla fattispecie di cui all’art. 318 c.p. di qualsiasi riferimento all’atto oggetto di scambio sembrerebbe far venir meno quell’elemento che sino ad oggi ha distinto la corruzione impropria dalla corruzione propria, e costituito dalla promessa o dazione illecita per il compimento di un atto, rispettivamente, proprio dell’ufficio ovvero contrario ai doveri di ufficio del pubblico ufficiale. A seguito della novella, dunque, la sola corruzione “propria” (art. 319 c.p.) continua oggi ad essere impostata sul riferimento ad un atto dell’ufficio mentre quella impropria no. Insomma il fatto che il legislatore abbia deciso di escludere la necessità di individuazione dell’atto solo per il reato di cui all’art. 318 c.p (corruzione impropria) ed abbia altresì deciso coscientemente di non modificare l’art. 319 c.p. (corruzione propria) -ancorato all’atto contrario ai doveri d’ufficio- lascia intendere che per tale ultimo reato occorra la dimostrazione e la prova dell sinallagma dazione o promessa di utilità - compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio NONOSTANTE la giurisprudenza richiamata nelle precedenti slides, con riferimento alla corruzione propria abbia sino ad oggi ritenuto di dover prescindere dalla individuazione di tale atto. 22 22 22

  23. Il terzo elemento di differenziazione è costituita dal fatto che nel vecchio art. 318 c.p. si faceva riferimento ad una “retribuzione non dovuta” sotto forma di danaro o altra utilità mentre nel nuovo art. 318 c.p. si fa riferimento al pubblico ufficiale che indebitamente riceve denaro o altra utilità. L’inserimento dell’avverbio “indebitamente” in luogo di “retribuzione non dovuta” non sembra aggiungere efficacia selettiva alla norma, essendo riferito non all’atto amministrativo o alla condotta svolta nell’esercizio delle funzioni, ma alla ricezione o all’accettazione della promessa di denaro o altre utilità. Viene così esclusa la rilevanza penale dei casi in cui l’utilità promessa o corrisposta al pubblico ufficiale è effettivamente dovuta allo stesso, per ragioni inerenti all’ufficio, ovvero è dovuta all’amministrazione per conto della quale il soggetto pubblico la riceve. La sostituzione della locuzione “retribuzione” con “denaro o altre utilità” è invece di fondamentale importanza in quanto proprio la qualificazione “retributiva” della dazione aveva alimentato quelle posizioni giurisprudenziali secondo cui la stessa traduceva la precisa volontà del legislatore di escludere dall’ambito di operatività della incriminazione tutte quelle situazioni non caratterizzate da un vero e proprio rapporto “sinallagmatico” tra la prestazione del corruttore e quella del corrotto e di includervi, al contrario, solo quelle dazioni o promesse proporzionate al tipo e all’importanza della prestazione richiesta al pubblico ufficiale, sicché, in definitiva, il reato doveva essere escluso sia nel caso di minima entità dell’utilità sia in quello di evidente sproporzione rispetto al vantaggio ottenuto (Sez. 6, n. 4072 del 09/02/1994) 23 23 23

  24. Sotto il profilo soggettivo la legge 190/2012 è intervenuta modificando l’art. 320 c.p. attraverso l’eliminazione del riferimento al pubblico impiegato per la punibilità dell’incaricato di pubblico servizio. Nel senso che precedentemente l’art. 320 c.p. prevedeva che il reato di cui all’art. 318 c.p. si applicava alla persona incaricata di pubblico servizio “qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato” mentre il nuovo art. 320 c.p. si limita a stabilire che “Le disposizioni degli art. 318 e 319 si applicano anche all’incaricato di un pubblico servizio.” e dunque anche se non riveste la qualità di pubblico impiegato” . E’ comunque prevista la riduzione di un terzo della pena. • La pena prevista per il reato di cui all’art. 318 c.p. è stata aumentata. Prima era della reclusione da sei mesi a tre anni (comma 1) e di quella fino ad un anno (comma 2). Oggi invece è della reclusione da uno a cinque anni, il che consente l’utilizzo di tutti quegli strumenti investigativi , prima esclusi, tra i quali soprattutto le intercettazioni telefoniche. È stata inasprita (in maniera significativa) la pena per il reato di corruzione propria ex art. 319 c.p.. Prima era: reclusione da 2 a 5 anni. Oggi è: reclusione da 4 a 8 anni • Le modifiche all’art. 318 hanno poi necessariamente comportato l’adeguamento alla nuova struttura del reato della previsione dell’art. 322 c.p. in tema di “istigazione alla corruzione”, il cui primo comma è stato modellato nel senso che chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora la promessa o l’offerta non sia accettata, alla pena stabilita dal primo (ed oggi unico) comma dell’art. 318 ridotta di un terzo, mentre, in forza del comma terzo, la medesima pena si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri. 24 24 24

  25. GIURISPRUDENZA: CASSAZIONE PENALE N. 27719/2013 Per “spesa di rappresentanza” imputabile a un ente pubblico, deve intendersi solo quella destinata a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell’ente al fine di accrescere il prestigio dello stesso e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca (nella specie, da queste premesse, è stato rigettato il ricorso avverso la sentenza di condanna ove si era ravvisato il reato di truffa nei confronti del presidente del consiglio di amministrazione di una società per azioni che si assumeva avesse fraudolentemente ottenuto dalla società il rimborso delle spese effettuate per pranzi non riferibili alla sua carica istituzionale, ma alla sua attività politica: era emerso, infatti, che i pranzi organizzati e per cui era stato ottenuto il rimborso, nulla avevano a che fare per loro oggetto e identità dei partecipanti con attività di rappresentanza o promozionali della società) MA non è configurabile il delitto di corruzione per atto di ufficio ex art. 318 cod. pen. - nel testo vigente prima delle modifiche della l. n. 190 del 2012 - nei confronti del Presidente di una società di gestione di una tratta autostradale, perché, pur rivestendo quest'ultimo la qualifica di incaricato di pubblico servizio, non può essere considerato un pubblico impiegato.

  26. CASSAZIONE PENALE N. 14451/2013 Risponde del reato di corruzione il sovrintendente di Polizia Penitenziaria responsabile dell'Ufficio Matricola della Casa Circondariale di (OMISSIS), che ha ricevuto gratuitamente in tempi diversi da (OMISSIS), detenuto presso detta Casa Circondariale, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), due gommoni marini, per operarsi in favore del detenuto nelle pratiche relative alla concessione di permessi-premio o di misure alternative alla detenzione (accertato in (OMISSIS)).

  27. CASSAZIONE PENALE N. 38762/2012 In tema di corruzione, non può essere ricondotta alla nozione di "atto di ufficio" la "segnalazione" o "raccomandazione" con cui un pubblico ufficiale sollecita il compimento di un atto da parte di altro pubblico ufficiale, trattandosi di condotta commessa "in occasione" dell'ufficio che, quindi, non concreta l'uso di poteri funzionali connessi alla qualifica soggettiva dell'agente. (Nella specie, la Corte ha escluso il delitto di cui all'art. 318, comma secondo, cod. pen. nei confronti del sindaco di un comune che aveva ricevuto un regalo per avere, in precedenza, sollecitato al direttore di una ASL il trasferimento di un sanitario).

  28. Vi sono due ulteriori tematiche da affrontare: • La prima è quella della compatibilità del reato corruttivo con l’adozione di atti discrezionali. Prima della riforma dell’art. 318 c.p. la dottrina e giurisprudenza (ritenendo compatibile l’atto discrezionale con il reato corruttivo) si ponevano il problema di distinguere in quali casi l’atto discrezionale era conforme (corruzione impropria) o contrario (corruzione propria) ai doveri di ufficio. La distinzione era di fondamentale importanza sia sotto il profilo sanzionatorio (la corruzione per atto contrario era punita con pena sensibilmente più alta) sia sotto il profilo della prescrizione del reato, sia infine sotto il profilo dell’ammissibilità delle intercettazioni e delle misure cautelari personali, applicabili all’epoca solo per il reato di cui all’art. 319 c.p. (corruzione propria). La giurisprudenza e la dottrina ritenevano che l’esercizio della discrezionalità da parte del pubblico ufficiale viziata ed inquinata dalla promessa o indebita dazione di denaro, non poteva che dar luogo ad un atto contrario ai doveri di ufficio (con la conseguente applicabilità dell’art. 319 c.p.) comprendendo tali doveri anche i generali obblighi di imparzialità, onestà ed esclusivo perseguimento dell’interesse pubblico. 28 28 28

  29. In particolare secondo la Cassazione si configurava il reato di corruzione impropria ex art. 318 c.p. in relazione ad un atto discrezionale solo ed esclusivamente “qualora sia dimostrato che lo stesso atto sia stato determinato dall’esclusivo interesse della pubblica amministrazione e che pertanto sarebbe stato comunque adottato con il medesimo contenuto e le stesse modalità anche indipendentemente dalla indebita retribuzione” (Cass. n. 36083 del 2009), stabilendo così una “presunzione di contrarietà” per tutti gli altri atti discrezionali assunti dal p.u. a fronte dell’illecita retribuzione o promessa di remunerazione Con la nuova formulazione dell’art. 318 c.p., non ponendosi più problemi di distinzione tra atto conforme e atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.), può darsi che spinga la giurisprudenza a cambiare opinione sulla sopra detta “presunzione di contrarietà” (peraltro criticata da parte della dottrina) MA sinceramente non sembra in grado di mettere in discussione la compatibilità del reato corruttivo con l’attività discrezionale della P.A. 29 29 29

  30. La seconda questione riguarda invece il momento consumativo dei delitti di corruzione. La nuova fattispecie dell’art. 318 c.p. punisce già l’accordo corruttivo senza che sia necessario che alla promessa segua la dazione dell’utilità. Analoga previsione è contenuta nell’art. 319 c.p. che non richiede per l’integrazione del reato, né che la illecita retribuzione venga effettivamente corrisposta né che l’atto contrario venga posto in essere dal pubblico ufficiale. Il problema principale concerne la rilevanza, ai fini di individuare il tempo ed il luogo del reato, dell’effettivo pagamento che intervenga successivamente ed in esecuzione dell’accordo già concluso. Secondo parte della dottrina il pagamento costituirebbe un post factum non punibile, con la conseguenza che per individuare il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione occorrerebbe far riferimento a tempo in cui l’accordo è stato raggiunto. La giurisprudenza invece ha elaborato una soluzione c.d. a duplice schema per cui “il delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione/ricezione dell’utilità, e tuttavia, ove alla promessa faccia seguito la dazione/ricezione è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione” (Cass. Sez. Unite n. 15208 del 2010) 30 30 30

  31. Per quanto attiene alla posizione del CORRUTTORE, l’art. 321 c.p., richiamando espressamente ed esclusivamente l’ art. 318 comma 1 sanzionava il corruttore solo in caso di c.d. corruzione impropria antecedente. L’art. 321 c.p., verosimilmente per un difetto di coordinamento, non è stato modificato dalla legge 190/2012; ciò non toglie che per effetto dell’inglobamento di corruzione antecedente e susseguente all’interno di un’unica fattispecie, il conduttore possa essere punito anche per la corruzione susseguente, configurandosi in tal modo una ipotesi di nuova incriminazione, insuscettibile, come tale, di applicazione retroattiva. 31 31 31

  32. Il reato di corruzione è “aggravato” (cioè la pena è aumentata, ed è aumentata anche la sanzione ex D. Lgs. 231/2001) se, il fatto di cui all'articolo 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene nonché il pagamento o il rimborso di tributi (art. 319 bis). Poco felice è il riferimento al “pagamento o rimborso di tributi”. La formula normativa utilizzata dal legislatore potrebbe apparire generica e suscitare perplessità nella ricostruzione degli esatti confini della nuova fattispecie. Infatti, la legge non chiarisce, se il legislatore abbia voluto circoscrivere l'aggravamento della pena alla sola ipotesi in cui l'attività contraria ai doveri d'ufficio sia diretta all'alterazione dei pagamenti e dei rimborsi, ovvero se i due termini («pagamento» e «rimborso») assumano un significato più generico e, conseguentemente, se oggetto del l'aggravante sia la corruzione posta in essere per lo svolgimento di qualunque attività in grado di condizionare l'entità di debiti e crediti fiscali. La Corte di Cassazione  ritiene che la nuova aggravante del delitto di corruzione – che interessa il personale dell'amministrazione finanziaria – riguardi solo le ipotesi di pagamento o rimborso di tributi, senza possibilità di estensione ad altre attività illecite in grado di condizionare l'entità di debiti e crediti fiscali.

  33. L’art. 319 ter c.p. invece prevede l’ipotesi della corruzione in atti giudiziari. Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale  o amministrativo, si applica la pena della reclusione da quattro a dieci. Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni; se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo, la pena e della reclusione da sei a venti anni

  34. Strettamente connesso al reato di corruzione è quello di istigazione alla corruzione (articolo 322 codice penale) –reato che anch’esso compare tra i c.d. reati presupposto ex D. Lgs 231/2001- che completa l'articolato sistema dei reati di corruzione (articoli da 318 a 321 codice penale), volti a tutelare il corretto funzionamento, il prestigio e l'imparzialità della Pubblica Amministrazione, preservando l'esercizio della funzioni pubbliche e dei pubblici servizi dai pericoli e dai danni che possono derivare da indebite retribuzioni private. La norma, in sostanza, punisce il tentativo di corruzione. L'articolo 322 codice penale prevede diverse ipotesi, distinguendo tra istigazione alla corruzione attiva (commi 1 e 2) e istigazione alla corruzione passiva (commi 3 e 4): le prime sanzionano il privato cittadino che offre o promette denaro o altra utilità non dovuta per indurre il soggetto pubblico a compiere, omettere o ritardare un atto dell'ufficio o contrario ai doveri dell'ufficio. Le seconde, invece, puniscono il soggetto pubblico che “sollecita”, esercitando una pressione psicologica sul privato, una promessa o dazione di denaro o di altra utilità per compiere, omettere o ritardare un atto conforme o contrario ai doveri d'ufficio. 34

  35. In tutti i casi deve trattarsi di promesse, offerte o richieste effettive, serie e potenzialmente idonee a alla realizzazione dello scopo, ossia tali da turbare psicologicamente il soggetto e indurlo, sia pure in astratto, ad accettare la proposta illecita, anche se poi, in concreto, tale proposta non deve essere accettata. IL REATO DI ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE ATTIVA si realizza nel momento in cui viene messa disposizione l'utilità al soggetto pubblico o comunque allorché quest'ultimo venga a conoscenza della promessa.IL REATO DI ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE PASSIVA DEL PUBBLICO FUNZIONARIO, invece, si perfeziona nel momento in cui la sollecitazione viene a conoscenza del privato.Deve mancare, in entrambi i casi, l’accettazione della promessa o l’adesione alla sollecitazione perché altrimenti si risponde per il reato di corruzione consumato. 35

  36. IN CONCRETO IL REATO IN PAROLA SI CONFIGURA TUTTE LE VOLTE IN CUI IL RPIVATO CI CONSEGNA “DELLE UTILITA’” AL FINE DI…MA SE SI TRATTA DINPICCOLE UTILITA’ (O REGALIE) COME BISOGNA COMPORTARCI? Presentare un'offerta di scarso valore economico può costare la condanna per istigazione alla corruzione. Per configurare il reato, dunque, basterà l'aver proposto al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio una qualsiasi utilità, anche modesta, al fine di realizzare un proprio vantaggio. A precisarlo è la Cassazione, sezione VI penale, con la sentenza n. 33724/10.Coinvolto nei fatti, un uomo ritenuto colpevole – dal giudice per l'udienza preliminare – di istigazione alla corruzione (articolo 322 del codice penale). Lo stesso, come era emerso durante il processo, aveva consegnato a un coadiutore giudiziario una busta chiusa contenente un carnet da dieci buoni benzina. L'obiettivo era di indurlo ad adoperarsi in suo favore nel procedimento relativo ad alcune aziende operanti nel settore del gas e sottoposte ad amministrazione giudiziaria (tra le società, una era debitrice della ditta gestita dall'imputato). Questi, in altre parole, aveva offerto una sorta di vantaggio patrimoniale – ticket per l'acquisto del carburante – allo scopo di conseguire, tramite l'ausilio dell'impiegato, una rapida liquidazione del credito vantato dalla propria impresa.La sentenza di condanna trova conferma in appello e il caso arriva in Cassazione. L'amministratore societario, secondo il legale, meritava di essere assolto dalle accuse mosse nei suoi confronti. In effetti – sostiene la difesa – un'utilità così esigua come quella offerta non era idonea a realizzare lo scopo, nel senso che non avrebbe mai potuto indurre il destinatario a compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio. Insomma, c'era un'evidente sproporzione tra il valore del bene promesso e il vantaggio che l'imprenditore avrebbe potuto realizzare ottenendo il credito vantato. A escludere il reato, poi, il fatto che l'offerta non fosse stata rivolta a un pubblico ufficiale, ma a un semplice coadiutore giudiziario, che non poteva ritenersi tale, essendo chiamato a svolgere solo un'attività di carattere tecnico-contabile «priva di valenza esteriore nei rapporti tra l'amministrazione e gli altri soggetti».

  37. La Cassazione, però, conferma la sentenza di condanna, ritenuta la sussistenza del reato di istigazione alla corruzione. L'offerta – si legge nella pronuncia – era idonea a configurare il delitto, in quanto «con essa l'imputato non intendeva ottenere il mero adempimento di un'obbligazione» a cui aveva diritto, ma il «pagamento del credito in tempi e modi anticipati e preferenziali rispetto agli altri creditori». La condotta del ricorrente era tesa ad alterare la realtà delle cose volgendole a proprio favore. Invece di attendere una definizione corretta e trasparente della procedura in atto, egli aveva intenzione di procurarsi le proprie spettanze scavalcando le posizioni dei creditori concorrenti (violando, così, i doveri di imparzialità e correttezza che avrebbero dovuto caratterizzare il procedimento di composizione delle pendenze debitorie). Infine – circa la supposta mancata qualità di pubblico ufficiale dell'impiegato destinatario dell'offerta – i giudici di legittimità precisano che va riconosciuta anche in capo al coadiutore nominato nell'ambito di una procedura di amministrazione giudiziaria. Nel rilevarlo, richiamano una precedente pronuncia (n. 13107 del 21 gennaio 2009) con cui era stato sciolto il nodo della questione: il soggetto nominato, su designazione del comitato dei creditori, come coadiutore del curatore del fallimento della società – cooperando a titolo oneroso alla funzione di custodia giudiziaria dell'azienda – svolge un ruolo di indubbia rilevanza pubblicistica. D'altro canto, sostiene la sentenza, anche a volerlo ritenere un mero incaricato di pubblico servizio e non un pubblico ufficiale, ciò non varrebbe a escludere la rilevanza penale dell'istigazione al reato commessa dall'imputato. L'articolo 322 del codice penale – conclude la Corte di cassazione – si riferisce indifferentemente all'una o all'altra figura. Nel caso specifico, il coadiutore aveva svolto (su specifica autorizzazione del giudice) una «qualificata funzione di collaborazione alla realizzazione della procedura giudiziaria, unitamente all'amministratore giudiziario».

  38. ANCHE SE RECENTEMNTE la Corte di Cassazione Penale sez. VI 15/2/2013 n. 7505 ha avuto modo di precisare che se le utilità sono veramente di modesta entità allora il reato non si configura I fatti traggono origine dal comportamento di un utente accusato di istigazione alla corruzione (art. 322 codice penale) per “aver offerto a due agenti della polizia stradale la somma di Euro 10,00 al fine di indurli a compiere un atto contrario al proprio dovere di ufficio e più precisamente l’omettere la contestazione dell’infrazione al codice della strada appena commessa dal omissis, condotta concretatasi nel porre la banconota in vista nella carta di circolazione consegnata ai due agenti, profferendo al contempo all’indirizzo degli stessi la frase “lassate stare e pilliatevi nu cafè”, ripetuta con insistenza.” 38

  39. Ha ritenuto la Corte di Cassazione che non sussiste il reato a carico del cittadino per l’improbabilità che l’offerta fosse accettata tenuto conto dell’irrisorio valore della somma (ovviamente avrebbe risposto dei reati previsti l’agente che comunque avesse accettato l’offerta). Ha ritenuto infatti la Corte di Cassazione Penale che “l’esibizione della somma di Euro 10,00, corrispondenti ad una utilità pari a Euro 5 per ciascuno dei pubblici ufficiali operanti e destinatari dell’istigazione, al fine di far loro omettere – e quindi in concreto impedire – la preannunciata contravvenzione, per la sua palese irrisorietà, possa semmai configurare il reato di oltraggio, per l’implicita offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale destinatario della dazione stessa.” 39

  40. MENTRE Qualora dagli atti acquisiti al processo risulti in modo univoco che l'imputato abbia offerto, senza successo, in occasione della contestazione di alcune violazioni al Codice della Strada, agli agenti intervenuti tutto il denaro di cui era in possesso perché evitassero di ritirargli la patente ed il veicolo e non lo denunciassero per il reato di guida in stato di ebbrezza, è evidente la sussistenza del reato di cui all'art. 322, comma 2, c.p.. Ed infatti, il netto rifiuto degli agenti ha impedito che la condotta corruttiva raggiungesse il suo scopo, con conseguente integrazione della fattispecie in parola. Ciò è quanto verificatosi nel caso di specie ove l'offerta di denaro ai pubblici ufficiali è stata ritenuta seria e credibile, tanto più che il mantenimento di una patente valida era assolutamente indispensabile all'imputato per continuare a svolgere la sua attività lavorativa di corriere ed in considerazione del fatto che la predetta offerta illecita fu reiterata più volte dall'imputato, anche dopo che gli agenti lo avevano invitato a desistere, rappresentandogli che sarebbe stato denunciato anche per questo ulteriore reato. (TRIBUNALE DI MONZA 408/2013)

  41. MA IN COSA CONSISTE LA CONDOTTA DI SOLLECITAZIONE? La condotta di sollecitazione, punita dal comma quarto dell'art. 322 cod. pen., si distingue sia da quella di costrizione - cui fa riferimento l'art. 317 cod. pen., nel testo come modificato dall'art. 1, comma 75 della l. n. 190 del 2012 - che da quella di induzione - che caratterizza la nuova ipotesi delittuosa dell'art. 319 quater cod. pen, introdotta dalla medesima l. n. 190 - in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza esercitare pressioni o suggestioni che tendano a piegare ovvero a persuadere, sia pure allusivamente, il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori, connotato dall'assenza sia di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta sia, soprattutto, di ogni ulteriore abuso della qualità o dei poteri. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrata l'ipotesi di cui al comma quarto dell'art. 322 cod. pen. in un caso in cui un consulente tecnico di ufficio in una causa civile per la determinazione dell'indennità di esproprio aveva contattato una parte processuale, prospettandole una supervalutazione del bene immobile come alternativa alla corretta valutazione, che avrebbe comunque effettuato, in cambio di una percentuale sulla differenza). CASS. 19190/2013

  42. IL REATO DI INDUZIONE INDEBITA A DARE O PROMETTERE UTILITA’ Il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità introdotto dalla L. 190/2012 è strettamente connesso (perché deriva) al reato di concussione. Il previgente art. 317 c.p. (la vecchia disposizione sulla concussione) disponeva che “Il p.u. o l’incaricato di pubblico servizio, che abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”. La legge 190/2012 ha scisso la precedente fattispecie incriminatrice nelle due fattispecie di concussione per costrizione (nuovo art. 317 rubricato “Concussione”) e concussione per induzione (art. 319 quater, rubricato “Indebita induzione a dare o promettere utilità”). Il nuovo art.317 c.p. rubricato “concussione” dispone che “Il p.u. che abusando delle sue qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni”. La nuova formulazione limita il novero dei soggetti attivi ai soli pubblici ufficiali, in quanto il legislatore ha ritenuto che l’effetto della costrizione all’indebita dazione possa ricollegarsi soltanto all’abuso di alte prerogative amministrative. Configurazione questa che però non considera che anche condotte minacciose di un incaricato di pubblico servizio possono, nella realtà, avere un effetto di integrale soggezione del privato. In ogni caso, estromessa la figura dell’incaricato di pubblico servizio, qualora la condotta prevaricatrice di quest’ultimo si connoti in termini di minaccia o violenza, la prospettabile qualificazione del fatto sarà quella di estorsione aggravata dall’abuso di poteri inerenti un pubblico servizio (art. 61, n. 9, c.p.) con una conseguenza che appare irragionevole, in quanto, sia pure per effetto dell’aggravante suscettibile di bilanciamento, l’incaricato di p.s. è sanzionato con una pena più severa (pari al massimo a dieci anni di reclusione più l’aumento di un terzo) di quella massima prevista dall’art. 317 c.p. per il p.u. (pari a dodici anni di reclusione) 42 42 42

  43. I PRESUPPOSTI DEL REATO DI CONCUSSIONE (ED ANCHE DI QUELLO DI INDUZIONE) SONO: A) ABUSO DEI POTERI Si realizza ogni qual volta un soggetto qualificato strumentalizza i poteri, che gli derivano dal fatto di ricoprire una determinata pubblica funzione o di svolgere un determinato pubblico servizio, come mezzo di pressione sul privato o come vero strumento coercitivo, o, comunque come strumento di pressione. L’agente di polizia che si fa consegnare una somma di denaro da un soggetto, minacciando di arrestarlo, evidentemente realizza una costrizione con abuso dei poteri inerenti alla sua funzione e strumentalizza i poteri per spingere il privato a compiere qualcosa che spontaneamente non avrebbe compiuto. Un episodio, che ha riguardato un vigile urbano, che si era fatto consegnare un oggetto d’oro minacciando una ritorsione consistente nel sequestro della vettura, in relazione ad un presunto illecito stradale, è stato chiaramente classificato come ipotesi di abuso dei poteri inerenti alla funzione. A volte può, infatti, accadere che un pubblico ufficiale prospetti l’uso di un potere, che, in realtà, esula completamente dalla sua competenza. Il privato, però, non sempre è in grado di percepire se il pubblico ufficiale disponga del titolo giuridico per esercitare quello specifico potere. Infatti, se chiunque è in grado di comprendere che un professore universitario non è nelle condizioni di sequestrare una macchina, non tutti capiscono che un pubblico ufficiale, che svolge funzioni di polizia giudiziaria, non può minacciare di sequestrare una macchina se il contesto non lo giustifica. Quindi, l’episodio del vigile urbano rientra nelle ipotesi di abuso dei poteri, anche se si tratta di un potere probabilmente non spettante al soggetto nel caso concreto. Lo stesso accade quando un’appartenente alle forze dell’ordine minaccia di arrestare un soggetto in flagranza per un reato che non ammette l’arresto in flagranza. Il privato, non conoscendo, spesso e volentieri, per quali reati sia previsto l’arresto in flagranza, subisce la pressione in relazione all’abuso dei poteri, non potendosi rendere conto che, in concreto, il soggetto qualificato non avrebbe potuto esercitare quel potere. La condotta di abuso dei poteri può essere realizzata anche con una condotta omissiva attraverso il mancato esercizio della funzione o del servizio, per esempio mediante un’omissione o il ritardo di un atto dovuto come accade quando un soggetto viene invitato a pagare dal pubblico ufficiale perché venga rallentata una verifica fiscale 43

  44. Abusare dei poteri dunque implica che il pubblico ufficiale faccia uso dei poteri corrispondenti alla propria condizione soggettiva. Siamo dunque in presenza di un abuso sotto il profilo oggettivo, che si manifesta attraverso la minaccia di compiere un preciso atto o di tenere un determinato comportamento, indipendentemente dal fatto che l’atto o il comportamento rientrino nella sua sfera di competenza tecnica. L’abuso potrà dunque consistere nell’esercizio del potere al di fuori dei casi di legge, ovvero nell’esercizio del potere non per l’attuazione dei fini previsti dalla legge, ma come mezzo per conseguire propri fini illeciti, ovvero nel non esercizio del potere pur ricorrendone i presupposti di legge, ovvero ancora nell’esercizio del potere nei casi di legge, ma in modi diversi da quelli previsti dall’ordinamento, ovvero, infine, nella minaccia di tenere uno dei comportamenti fin qui descritti (nella concussione, a differenza che nell’abuso di ufficio, non si richiede necessariamente l’esecuzione di un atto di abuso di potere, bastandone la minaccia). Ben potrà configurarsi una condotta di abuso anche in relazione ad atti vincolati o dovuti, tutte le volte che l’agente ponga in essere quell’atto in modo che risulti viziato (ad esempio ritardandolo o adottandolo in maniera difforme dal modello legale o non adottandolo e ponendo in essere condotte ostruzionistiche), poiché ciò che conta è sempre la deviazione dell’esercizio dalla sua causa tipica.

  45. B) ABUSO DELLE QUALITÀ Il concetto di abuso delle qualità si presenta in maniera più sfumata in quanto non risulta sempre facilmente percepibile. In genere, ricorre ad un abuso della qualità il pubblico ufficiale che esercita una pressione sul privato, non collegandola con un concreto uso (o meglio abuso) dei poteri inerenti alla funzione o al servizio, bensì semplicemente facendo pesare, da un punto di vista statico, la sua funzione all’interno della pubblica amministrazione in modo che il privato non sia immediatamente minacciato dall’uso del potere, ma si renda conto che si trova a che fare con una persona inquadrata in una branca della pubblica amministrazione con la quale, un domani (non oggi, ma un domani), potrebbe avere a che fare e dalla quale, quindi, potrebbe anche subire un pregiudizio. Il soggetto passivo, per questo motivo, è spinto ad assecondare la condotta di costrizione, pur non essendo, come avviene, invece, nell’abuso dei poteri, di fronte al rischio di una ritorsione immediata effettuata attraverso una strumentalizzazione del potere da parte del soggetto qualificato. Quando si abusa delle qualità non viene posto un aut aut collegato ad una vicenda concreta, ma viene insinuato il dubbio, nella mente del soggetto passivo, che, non aderendo alla richiesta del soggetto qualificato, si potrà prima o poi intersecare la propria strada con quella del pubblico ufficiale ed avere problemi. Se, per esempio, un imprenditore edile si sentisse chiedere da un magistrato o da un prefetto la vendita di un immobile ad un prezzo stracciato, in assenza di minaccia o di prospettazione di immediate sanzioni o procedimenti esecutori nei suoi confronti, ma semplicemente venendo messo a conoscenza della veste importante ricoperta dall’interlocutore nel contesto sociale, potrebbe essere indotto a riflettere su quanto gli viene richiesto, mentre normalmente, se la stessa richiesta gli venisse effettuata da un privato, non la prenderebbe neppure in considerazione. L’imprenditore è indotto a riflettere sull’eventualità che, dietro la richiesta effettuata dai soggetti qualificati, vi sia una prospettazione futura di qualche problema finalizzata ad indurlo ad accettare una proposta sicuramente non vantaggiosa. Un caso capitato a Genova ha coinvolto alcuni agenti di un reparto celere che avevano l’abitudine di recarsi presso alcuni negozi per comprare merce a prezzi irrisori, non minacciando perquisizioni o conseguenze collegate alla loro funzione (sarebbe stata, in questo caso un’ipotesi classica di abuso dei poteri), ma semplicemente esibendo la divisa (d’altra parte ci sono situazioni, ad esempio in piccoli centri, in cui un maresciallo dei carabinieri può avere una posizione di prestigio e di peso tale da poter far pesare l’abuso delle qualità). Certamente, l’abuso della qualità non risulta sempre facilmente individuabile. 45

  46. Abusare della qualità implica pertanto che il pubblico ufficiale faccia pesare la sua condizione personale per conseguire lo scopo sanzionato, avvalorando e rendendo credibile ed idoneo - appunto grazie alla propria qualità soggettiva - l’atto intimidatorio con il quale si induce o costringe la persona offesa a dare o a promettere l’indebito. Siamo dunque in presenza di un abuso sotto il profilo soggettivo, di un uso indebito della propria condizione personale (indipendentemente e a prescindere dall’esercizio dei poteri a queste corrispondenti), di un generico sfruttamento della qualità di pubblico ufficiale, non direttamente collegato alla adozione di specifici ed individuati atti amministrativi (tanto che in giurisprudenza si è evidenziato che per l’integrazione del reato è sufficiente che la qualità soggettiva dell’agente abbia avvalorato o comunque reso credibile la sussistenza di una specifica competenza, indipendentemente dal fatto che l’agente abbia in effetti i poteri che si attribuisce).

  47. CASO PRATICO (sentenza n. 20792/2010) L’imputato, direttore generale di una Asl, era stato condannato per il delitto di tentata concussione nei confronti del presidente della Commissione invalidi civili, per averlo più volte invitato a riconoscere lo stato di grave invalidità di un soggetto, e per averlo infine, a seguito del rifiuto di quello di aderire alla richiesta, rimosso dall'incarico. I giudici di merito evidenziavano che la sequenza cronologica degli atti posti in essere dall’imputato era indicativa della strumentalizzazione della propria posizione di preminenza, nella prospettiva non certo di perseguire l'interesse pubblico, ma di assicurare un indebito vantaggio a un soggetto privato. Il difensore dell’imputato ricorre per cassazione deducendo tra l’altro l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, mancando l’l'abuso della qualità e/o dei poteri da parte dell’imputato, che agì nell'ambito delle sue prerogative e solo per perseguire l’interesse pubblico. La Suprema Corte accoglie il ricorso, annullando senza rinvio la sentenza di condanna, rilevando che nel caso di specie manca tanto l’abuso della qualità (poiché l’imputato “agì nell'ambito delle sue potestà funzionali, tra le quali deve certamente ritenersi compresa quella di vigilare sulla funzionalità dei vari servizi e di garantire l'uniformità di orientamento e, quindi, l'imparzialità dell'attività amministrativa”), quanto l’abuso dei poteri (“non risultando che l'imputato sia andato oltre le sue prerogative e abbia perseguito finalità estranee all'interesse pubblico, la cui tutela non può non aver di mira anche la posizione soggettiva del singolo individuo, che non deve essere pregiudicata da decisioni affrettate, scarsamente meditate e non in sintonia con le linee guida dell'attività amministrativa”).

  48. CASO PRATICO (sentenza n. 28123/2010) L’imputato, responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di Ceregnano, era stato condannato per il delitto di tentata concussione, per aver posto in essere atti idonei diretti ad indurre l’esercente di una attività industriale di recupero dei rifiuti a versargli la somma di 100 milioni di lire, minacciandolo in caso contrario di bloccare o quantomeno ritardare la procedura relativa al rilascio di una autorizzazione relativa all'attività di recupero dei rifiuti. La Suprema Corte conferma la condanna, rilevando tra l’altro la sussistenza nel caso di specie dell'abuso “della qualità pubblica, cioè l'utilizzazione per tornaconto personale del ruolo che l’agente ha assunto nell'ambito dell'organizzazione amministrativa e quindi dell'ufficio, distorcendo il suo scopo di servizio a mezzo per limitare o condizionare la volontà del terzo”, e ciò indipendentemente “da ogni valutazione circa le attribuzioni che il Comune avesse nell'ambito della procedura attivata dal F. per ottenere l'autorizzazione .. e al potere di interdizione eventualmente spettante all'ente comunale”. Il pubblico ufficiale agì dunque “strumentalizzando la sua funzione, nonché sfruttando a fini di privato vantaggio la sua posizione di preminenza connessa all'esercizio di un potere pubblicistico”.

  49. C) COSTRIZIONE Solitamente, la costrizione si presenta nel reato di concussione sotto forma di minaccia. E’, invece, più complicato che si possa ravvisare un’ipotesi di violenza in quanto, in genere, il pubblico ufficiale non ha bisogno di esercitare violenza sul soggetto passivo (tra l’altro se il soggetto qualificato fa ricorso alla violenza probabilmente non ricorre all’abuso dei poteri o delle qualità e risponde del reato di rapina autonomamente considerato). Quando il soggetto qualificato abusa dei poteri o della qualità, lo fa, in genere, prospettando una conseguenza spiacevole, quindi realizzando tipicamente la condotta di minaccia. In presenza di minaccia, esplicita o larvata si è di fronte a quella forma di concussione definita come concussione esplicita, ovvero mediante costrizione. 49

  50. Il concetto di costrizione secondo la recente giurisprudenza: Sentenza 11942 del 14 marzo 2013 IL FATTO: Un appartenente alla Polizia di Stato minacciando il titolare di poligono di tiro di non rinnovargli la convenzione per i tiri, faceva risultare per ogni esercitazione un numero di agenti superiore a quelli effettivamente impegnati e si faceva poi consegnare le somme per le esercitazioni mai effettuate. Secondo la Corte di Cassazione nel caso di specie la coartazione del privato era tale da non lasciargli “libertà di scelta” E pertanto del tutto corretta era la qualifica del reato come reato di concussione. La Corte ha precisato che nel nuovo reato di concussione per costrizione il PU agisce con modalità ovvero con forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione al destinatario della pretesa illecita (come appunto accaduto nel caso di specie ove al privato era stato minacciato il danno della mancata rinnovazione della licenza) E proprio sotto tale profilo si distingue dalla nuova fattispecie di cui all’art. 319 quater c.p. 50

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