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Francesco Barale, Marianna Boso e Stefania Ucelli di Nemi Università di Pavia Laboratorio Autismo

Brescia 2012 “La debolezza piena” evidenze e concezioni recenti in tema di autismo e di intersoggettività. Francesco Barale, Marianna Boso e Stefania Ucelli di Nemi Università di Pavia Laboratorio Autismo Fondazione Genitori per l’Autismo, Cascina Rossago.

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Francesco Barale, Marianna Boso e Stefania Ucelli di Nemi Università di Pavia Laboratorio Autismo

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  1. Brescia 2012“La debolezza piena”evidenze e concezioni recenti in tema di autismo e di intersoggettività Francesco Barale, Marianna Boso e Stefania Ucelli di Nemi Università di Pavia Laboratorio Autismo Fondazione Genitori per l’Autismo, Cascina Rossago

  2. “La Psicoanalisi non ha ragione di temere gli attuali, formidabili progressi delle neuroscienze. Anzi li attende con curiosità ed impazienza, perché essi non potranno che essere nuovi affinamenti e porte di ingresso per le nostre concezioni, necessariamente polifattoriali, di ogni situazione psicopatologica”. (S. Lebovici)

  3. …ma è veramente così? …come sarebbe bello se le cose fossero davvero così, come Lebovici auspicava…. …purtroppo, nel caso dell’autismo (ma non solo in esso) la faccenda è andata diversamente Ma, per capirci, è necessaria un po’ di storia….

  4. Kanner (1943) fu il primo clinico a individuare e descrivere l’autismo. Le sue descrizioni sono rimaste classiche , e tuttora valide. Le descrizioni di Kanner furono seguite e confermate da quelle di Asperger (1944)

  5. La descrizione classica 1: L’isolamento autistico (“I can’treachmy baby !”, madre di Charles, caso 8°). “Il disturbo fondamentale più evidente, patognomico, in tutti questi bambini, è la loro incapacità a rapportarsi in modo usuale alla gente e alle situazioni sin dai primi momenti di vita… vi è fin dall’inizio un estremo isolamento autistico…hanno una buona relazione con gli oggetti…la relazione con la gente è del tutto differente…un profondo isolamento domina tutto il comportamento…ma questo isolamento è molto peculiare… la cosa che più impressiona di Charles è la sua inaccessibilità, il suo distacco. Cammina come stesse nella sua ombra, vive in un mondo tutto suo, dove non può essere raggiunto…” (Kanner 1943)

  6. L’intuizione di Kanner Sia Kanner che Asperger, da grandi clinici, intuirono che l’isolamento autistico, questa particolarissima evanescenza del sentimento di essere collegato all’altro, è, appunto, molto “peculiare”: qualcosa che solo apparentemente e superficialmente è simile ad un rifiuto del contatto umano; è qualcosa di “originario” (Kanner ripete il termine più volte), è un non riuscire ad essere sulla stessa lunghezza d’onda degli altri, una sorta di difficoltà di “sintonizzazione”.

  7. La descrizione classica 2: il desiderio di ripetitività “Tutto il comportamento del bambino è monotonamente ripetitivo quanto le sue espressioni verbali…è governato da un desiderio ansiosamente ossessivo di conservare la ripetitività” (Kanner 1943) La “sameness”

  8. Ripetitività autistica, routines, ossessività. L’insistenza ossessiva per la ripetitività si può esprimere in modi molto diversi: come movimenti ed espressioni stereotipiche, ma anche, nei casi più high functioning, come routines sempre più elaborate, spesso senza scopo apparente, o anche come concentrazione su un campo ristretto di interessi, nel quale magari il ragazzo autistico high functioning raggiunge risultati straordinari…

  9. La descrizione classica 3: gli “isolotti di capacità” “Il sorprendente vocabolario di questi bambini che parlano, l’eccellente memoria per eventi accaduti anni prima, la fenomenale memoria meccanica per le poesie ed i nomi, il preciso ricordo di figure e sequenze complesse, sono l’indizio di una buona intelligenza” Kanner 1943) indussero Kanner ad affermare che questi bambini avevano una buona intelligenza .

  10. L’ intuizione originaria di kanner La geniale descrizione kanneriana individuava dunque tre caratteristiche nucleari o “fondamentali”: l’isolamento, la ripetitività ossessiva, gli isolotti di capacità. Tra queste, “il disturbo più evidente, patognomico, presente fin dall’inizio, è il profondo isolamento…l’incapacità dei bambini a rapportarsi in modo usuale al mondo interumano sin dai primi momenti di vita…La conclusione della descrizione, ben nota, fu: “dobbiamo assumere che questi bambini siano venuti al mondo con un’innata incapacità a formare il consueto contatto affettivo con le persone, fornito biologicamente, proprio come altri bambini vengono al mondo con handicap fisici o intellettivi innati” (Kanner, Disturbi autistici del contatto affettivo, NervousChild, 1943)

  11. Alcuni limiti delle descrizioni di Kanner e Asperger • Ottimismo prognostico • La negazione di correlazioni con condizioni mediche

  12. La deriva psicogenetista ’50-’80 L’oscillazione psicopatologica ed eziopategenetica di Kanner: l’isolamento da tratto essenziale diventa fenomeno secondario, “chiusura” e “difesa”. l’autismo viene assimilato alla “schizofrenia infantile”….i “genitori frigorifero” B. Bettelheim: dai “genitori frigorifero” alla “fortezza vuota”… Sotto l’influenza della psicoanalisi e di studiosi famosi come Bettelheim abbiamo quello che può essere chiamata la deriva psicogenetista

  13. Il paradigma generale degli anni 50-80 Autismo come arresto dello sviluppo psichico ad una fase a-oggettuale di indifferenziazione e come guscio-strategia difensivi rispetto: • ambienti inadeguati e/o ostili • angosce catastrofiche interne

  14. Il paradigma generale della psicogenesi dell’autismo L’idea dell’autismo come regressione-fissazione a una presunta fisiologica fase autistica originaria è implicita nel termine stesso “autismo”, coniato da E. Bleuler per indicare uno dei fenomeni “fondamentali” della schizofrenia. I riferimenti espliciti entro cui la nozione bleuleriana di autismo fin dall’inizio si colloca sono la Sexualtheorie freudiana e l’ipotesi generale che gli stati psicopatologici corrispondano a regressioni/fissazioni a stadi primitivi dello sviluppo (“autismo”= “autoerotismo”, cioè stadio pre-oggettuale)

  15. Il modo in cui venne concettualizzato l’autismo è dunque profondamente radicato in alcuni assunti di base della metapsicologia psicoanalitica e della cosiddetta “psichiatria psicoanalitica”.

  16. Anni 50’-80’. Aspetti del paradigma psicogenetista Sul piano clinico il modello psicogenetista pose automaticamente una continuità tra la questione dell’autismo e 1. fenomeni da deprivazione relazionale o depressione (riferimento tipico: i fenomeni di istituzionalizzazione precoce, Spitz 1943) 2. fenomeni di ritiro psicologico per accudimenti o stili interattivi inadeguati (riferimento tipico: la “depressione materna”) 3. diverse condotte di evitamento relazionale da disturbo nella regolazione del dialogo sensomotorio madre-bambino, ampiamente descritte anche nel lattante e riprodotte anche sperimentalmente (riferimento tipico: “still face” ecc.) …

  17. L’idea centrale del paradigma psicogenetista, in effetti psicoanalitico, pone la genesi dell’autismo nella inadeguatezza delle «cure materne», cioè in una relazione madre/bambino primaria e inadeguata, che avrebbe generato ritardo e alterazioni nello sviluppo. Ciò malgrado……

  18. … i grandi clinici continuassero ad indicare che nell’ autismo c’era qualcosa di diverso rispetto a qualsiasi fenomeno di ‘chiusura’, ritiro o depressione…. “…osservando i bambini psicotici, non si può fare a meno di pensare che l’eziologia primaria della psicosi infantile, l’incapacità del bambino psicotico di utilizzare le cure materne, elemento catalizzatore dell’omeostasi, è innata, costituzionale e probabilmente ereditaria….” (M. Mahler 1968) … una ricca letteratura mostra come nessuna deprivazione o distorsione relazionale, neppure la più estrema, produceva di per sé autismo (A. Freud, S. Dann 1951;W. Goldfarb 1945; Curtiss 1977; D. Skuse 1984…)

  19. “è stupefacente la capacità del bambino sano …direcuperare…di raccogliere anche l’ultima stilla della stimolazione umana…di integrare, per sopravvivere in qualche modo, anche il più misero sostituto di cure materne….. …esattamente all’opposto dei bambini autistici, i bambini deprivati si aggrappano con tenacia, intensità ed efficacia a qualunque misera goccia di apporto...” (M. Mahler, 1968)

  20. Anni ’70 – ’80: la crisi del modello dell’autismo psicogeno. Gli studi empirici Lo sviluppo di studi empirici rigorosi oltre a documentare l’importanza della vulnerabilità genetica (“l’autismo è, tra tutte le condizioni psichiatriche, quella in cui la genetica svolge il ruolo più importante”, Rutter 2001) accerta che: 1. La prevalenza dell’autismo non è maggiore nei ceti intellettuali e/o in particolari sistemi di allevamento 2. Non c’è un particolare stile relazionale genitoriale alla base dell’autismo 3. Nella storia e nelle famiglie reali delle persone autistiche non è documentabile qualche cosa di specifico e di differente, sul piano psicologico, rispetto a tutti i possibili gruppi controllo (normali o con altre patologie)

  21. Anni ’70-’80 gli studi empiricidimostrano che 4. La patologia autistica è spesso precocissima 5. Si esprime nello stesso modo sia nelle relazioni con i genitori che in quelle con qualunque altro caregiver In conclusione, a partire dagli anni ‘70 si fa sempre più strada nella comunità scientifica la convinzione che, come aveva intuito originariamente Kanner, l’autismo non sia la conseguenza di di una deprivazione psicologica o sociale o di disturbate relazioni ma sia esso stesso un radicale, originario disturbo dei fondamenti della relazionalità umana

  22. La crisi “interna” del paradigma psicogenetista … sono i presupposti stessi della concezione tradizionale a franare, con gli sviluppi della psicologia evolutiva.

  23. L’autismo non può più essere concepito come un arresto o una regressione dello sviluppo a fasi “autistiche”primitive, per insufficienze dell’ambiente …perché appare sempre più chiaro, dagli sviluppi della psicologia evolutiva, che nella crescita umana non c’è alcuna fase autistica normale, non c’è nessun “normale autismo del neonato” (Piaget).

  24. Si fa strada con l’inizio degli anni 2000 l’idea di un deficit delle basi neurologiche di quanto viene denominato……

  25. L’intersoggettività primaria Fin dall’inizio il neonato umano è dotato di evidenti “discovery procedures”(Meltzoff 2001), attraverso cui esplora attivamente l’ambiente interumano circostante… manifesta molteplici segnali di una “innata intersoggettività” (Trevarthen 2001), di una particolare attenzione spontanea ed originaria per gli interlocutori viventi, di immediata recettività ai loro stati soggettivi, di una sorta di elementare e spontanea propensione alla mappatura “se/altro”….un abbozzo embrionale di interesse al “senso umano” delle esperienze…

  26. L’intersoggettività primaria Nell’intersoggettività primaria il bambino si impegna in una fitta rete di scambi comunicativi…. scambi fin dall’inizio caratterizzati da un fenomeno fondamentale: la “reciprocità”: “ciò che è percepito non è solamente il comportamento dell’altro ma la sua reciprocità al nostro…” (Neisser 1993)…. Numerosi studi dimostrano la particolare attenzione e preferenza del neonato umano rispetto ai comportamenti “congruent with me” e non solo “contingent on me” (Meltzoff 1994)..

  27. L’intersoggettività primaria denuncia la sua presenza e al contempo la sua innatezza attraverso …

  28. I segnali precoci della reciprocità Vi sono molti segni di questa reciprocità: le “posture anticipatorie” e il “dialogo tonico” di J. De Ajuriaguerra (1964) le interazioni ritmiche con i care givers (Trevarthen, 1973), vere “protoconversazioni” l’ interesse precocissimo per i volti e la mimica materna (Stern, 1985) i fenomeni di attunement, di sintonizzazione e sincronizzazione affettiva (Brazelton 1974, Tronick 1979, Beebe 1982, Stern, 1985, Beebe e Lachmann 1988, Trevarthen 2001 ecc….) nell’interazione, nel gioco, nelle protoconversazioni….che testimoniano l’attivo interesse per le intenzioni e la precoce capacità di modulazione degli stati affettivi

  29. La “grammatica universale” dell’intersoggettività primaria…. …una estesissima letteratura ha mostrato la ricchezza di questa intersoggettività primaria, individuandone anche le “regole universali”, descrivendone i ritmi, la prosodia, la musicalità, la fenomenologia “normale” e le sue “normali” perturbazioni … ma mostrando anche come la regolazione del contatto e la modulazione affettiva-interattiva che in essa si produce costituiscano veri “involucri proto-narrativi” del sé e del mondo, “schemi” pre-cognitivi, struttura profonda e sfondo implicito di ogni competenza relazionale e collaborativa successiva….

  30. L’intersoggettività primaria L’evidenza nel neonato umano di questo “initial psychosocial state”, biologicamente programmato, carico di “purposeful intersubjectivity” (Trevarthen 2001)” si è fatta strada lentamente e faticosamente, tra lo scetticismo generale: in psicoanalisi essa confliggeva infatti sia con il modello pulsionale che con l’idea di uno stato originario autistico; in psicologia empirica, con il predominio di “una teoria individualistica, costruttivistica e cognitiva” (Trevarthen,2001).

  31. L’imitazione primaria: uno “startingpoint”? La base innata delle competenze sociali è documentata dai fenomeni di imitazione primaria (Meltzoff 1977) . Presenti già a poche ore dalla nascita, essi evidenziano la capacità immediata di sperimentare e “tradurre” la prospettiva corporea dell’interlocutore nella propria: veri “schemi”, o “preconcezioni”, della relazionalità. Non dipendono dall’incontro con l’oggetto, ma fondano la possibilità di quell’incontro.

  32. Meltzoff, A. N. & Moore, M.K (1977). Imitation of facial and manual gestures by human neonates.Science, 198. 75-78

  33. Significato dirompente dei lavori di Meltzoff…. …I dati di Meltzoff e coll. contraddicono in modo così radicale tante “idées reçues” che a lungo sono stati messi in dubbio…salvo poi essere confermati da numerosi altri laboratori…e dare origine a numerose discussioni sulla natura di queste capacità imitative evidentemente innate…sui meccanismi che la sostengono, sul loro rapporto con il generale fenomeno biologico della “mimicry”, largamente diffuso in molte specie….anche inferiori….

  34. Una delle cose più sorprendente degli esperimenti di Meltzoff era che i neonati potevano imitare movimenti del viso utilizzando parti corporee (proprie) cui non avevano mai avuto accesso visivo. Traducevano “immediatamente” un imput visivo in un comportamento motorio simile. Meltzoff chiama questo fenomeno “mapping attivo intermodale”. Questa capacità sembra svolgere un ruolo basale nello sviluppo dell’intelligenza sociale, costituendo un primitivo spazio noi-centrico in cui la prospettiva corporea dell’interlocutore è immediatamente “tradotta” in quella propria…

  35. .. Meltzoff dimostrò peraltro che questa “incredibile” capacità era correlata ad altre precocissime capacità di integrazione multimodale: neonati di 3 settimane sono in grado di identificare visivamente ciucciotti che avevano precedentemente tenuto in bocca senza poterli vedere…ciò che era stato precedentemente esperito come differente dal punto di vista tattile viene ora riconosciuto anche visivamente differente..

  36. A poco a poco, è sul fondamento di questa “intersoggettività” (o meglio “intercorporeità”) primaria che si organizza una “evidenza naturale” del mondo interumano…. … in uno strato dell’intenzionalità fungente, in una una “pre-comprensione” della socialità che è prima di qualsiasi “social cognition” in senso stretto…ma anche di qualsiasi fantasia, conscia o inconscia….proiezione o introiezione…o rappresentazione di “contenuti psichici”, “desideri”, “intenzioni”….e anche di ogni chiara distinzione di soggetto e oggetto…

  37. Dall’intersoggetività primaria all’intersoggettività secondaria …siamo qui ancora, evidentemente, in una dimensione di “weness” o del “essere-con”(Stern 1985)….che certamente non è “autistica”, ma comunque è di relativa indifferenziazione e di confusione dei limiti tra se e non-se, di “bi-dimensionalità psichica” (o di “identificazione adesiva”)….

  38. Dall’intersoggetività primaria all’intersoggettività secondaria il passaggio da questa intersoggettività affettiva molto primitiva all’ intersoggettività secondaria è complesso, implica l’ “invenzione dell’altro”, cioè della differenza (e separatezza) tra sé e altro, una progressiva costruzione del sentimento di “agentività e della distinzione tra passività e attività, interno e esterno, un transito dai fenomeni imitativi “a specchio” (“indifferenti al chi”) ad una imitazione “secondaria” e intenzionale ….con una componente cognitiva e rappresentativa sempre maggiore…

  39. Dall’intersoggetività primaria all’intersoggettività secondaria …questo cammino di progressiva differenziazione (tra se e ciò che è altro, tra interno ed esterno), riconoscimento e rappresentabilità è ovviamente modulato e facilitato dall’incontro con l’oggetto, dal tipo di “saturazione” delle “preconcezioni”, (capacità di contenimento, di reverie, di introduzione di una “terziarietà” ecc.) che esso consente…. Ma vi sono comunque sempre maggiori evidenze che, nell’autismo, ciò che è alterato è proprio questa matrice biologica originaria dell’intersoggettività….…e che è questa alterazione dell’intersoggettività primaria ciò che rende difficile il transito tra essa e l’intersoggettività secondaria

  40. Dalla “fortezza vuota” alla “debolezza piena” Questa alterazione si esprime nella fenomenologia preclinica dell’autismo: insufficienza nel contatto visivo, mimico, negli scambi imitativi, nel dialogo tonico e sensomotorio, nell’anticipazione posturomotrice, nell’ attenzione e nella risposta alla voce familiare….successivamente, nell’attenzione condivisa, nel gesto protodichiarativo (ma qui siamo già nell’area dell’intersoggettività secondaria …)

  41. Dalla “fortezza vuota” alla “debolezza piena” Possiamo dunque pensare l’autismo come una particolare forma di esistenza che si costruisce intorno ad alcune difficoltà iniziali nella costituzione di una “evidenza naturale del mondo” interumano… Non è una “fortezza vuota”, secondo il concetto di Bettelheim , che si è chiusa difensivamente, ma una “debolezza piena”: un mondo sui generis (ma comunque un “mondo”) costruito a partire da una debolezza interattiva originaria

  42. Dalla “fortezza vuota” alla “debolezza piena” …in assenza di una “evidenza naturale del mondo interumano” e alla ricerca comunque di organizzatori, l’esperienza autistica si struttura fin dall’inizio intorno ad alcuni “organizzatori” peculiari ed idiosincrasici… … di cui ritualismi, stereotipie, routine più o meno elaborate sono solo alcuni aspetti …

  43. Autismo: il “mistero delle cose” “La realtà per una persona autistica è una massa interattiva e confusa di eventi, persone, luoghi, rumori e segnali. Niente sembra avere limiti netti, ordine o significato. Gran parte della mia vita è stata dedicata al tentativo di scoprire il disegno nascosto di ogni cosa. La routine, scadenze predeterminate, percorsi e rituali specifici aiutano ad introdurre un ordine in una vita inesorabilmente caotica” (T.Joliffe, cit. in Temple Grandin, Thinking in Pictures 1995)

  44. Questa descrizione è tipica: corrisponde, nelle sue linee generali, a tutte le descrizioni “dall’ interno” dell’ esperienza autistica che ci sono arrivate dalle poche persone HF in grado poi di fornircele. Queste descrizioni non corrispondono affatto, purtroppo, a quella che F. Tustin, in un passo molto poetico (1981), preconizzava ci avrebbe potuto fornire, una volta uscito dal suo guscio, il “bambino addormentato nella conchiglia”. Ovviamente il “mito della conchiglia” (il principino addormentato nel suo guscio difensivo, che mantiene comunque intatte, dentro di esso, tutte le potenzialità evolutive e cognitive in attesa che si sviluppi una maggiore fiducia nella interlocuzione umana e le angosce catastrofiche si mitighino) ha implicazioni operative molto diverse….

  45. …da quelle che derivano dal riconoscimento di un inceppo o difficoltà originaria nei meccanismi basali che consentono riconoscimento emotivo, imitazione, anticipazione, reciprocità, interazione…e, a poco a poco, attraverso una acquisizione progressiva di capacità, di districarsi dal flusso immediato dell’esperienza sensopercettiva e organizzare un “apparato per pensare i pensieri”…. …si giocano qui una serie di questioni molto importanti….modi radicalmente diversi di intendere non solo l’autismo ma la sua cura….

  46. La ricerca recente ha messo in luce importanza e basi della difficoltà autistica ad organizzare dei “forward models” dell’esperienza; di sviluppare cioè quella capacità “anticipatoria” che rende possibile intenzionalità ed interattività coerenti. Fu M. Mahler (1968), che non sapeva nulla della neurofisiologia delle “funzioni esecutive”, a descrivere per prima questa caratteristica difficoltà: “una delle cose che colpisce di più, osservando questi bambini, è che sembra che essi non abbiano il futuro, non ne possiedano modelli anticipatori, non riescano ad immaginarsi cosa accadrà …”

  47. La difficoltà nei “forward models” ostacola anche il formarsi di quella che D. Marcelli (1986), citando la Mahler senza saperlo, ha chiamato funzione di “surséance”: la capacità di “rinviare”che introduce il “tempo”, consente al neonato di uscire dal flusso sensopercettivo immediato, stabilisce una prima distanza “anticipatoria” tra esperienza sensopercettiva e primo abbozzo di attività rappresentativa; prima tappa di una funzione di contenimento delle eccitazioni esterne ed interne…

  48. Principali revisioni anni 70-90. Aspetti nosografici Possiamo riassumere i cambiamenti avvenuti negli anni 70/90 secondo il seguente schema 1. La disarticolazione del nesso “autismo-schizofrenia”: differenze di esordio, evoluzione,sintomatologia, epidemiologia, fenomeni tipici, fattori di rischio, distribuzione M/F, associazione con altre patologie,con il RM e l’epilessia, genetica… 2. Dalla nozione di “psicosi” a quella di “disturbo generalizzato o dello sviluppo” 3. DSM III 1980: nozione di PDD. Criteri rutteriani (1975, 1978) 4. DSM III R 1987: accentuata la prospettiva evolutiva, scompare l’aggettivo “infantile”. Scompare la nozione di “autismo residuo”,che alludeva all’ipotesi illusoria di una “uscita” dall’autismo. Criteri Wing-Gould (coorte di Camberwell; tre domini statisticamente associati, con spettro esteso di variazioni) De-psicopatologizzazione della descrizione kanneriana (e persino rutteriana). Iperinclusività diagnostica e perdita di specificità. 5) DSM IV 1994: riorganizzazione criteriale, inclusione di altri quadri (d.di Asperger)

  49. Anni 80-2000: i 4 modelli principali Sulle rovine del modello psicogenetista, infondato ma a suo modo coerente, nei decenni 1980-2000 emergono alcuni modelli di comprensione (ed aree di ricerca) che cercano di dare una spiegazione “unitaria” dell’autismo. I principali sono quattro

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