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Gli studi di genere alla Sapienza Roma 10 dicembre 2010. Annamaria Simonazzi Aspetti di genere nella crisi economica e finanziaria. Una premessa necessaria:. Non solo una questione di genere e non solo una questione di equità Ragioni economiche a favore dell’eguaglianza fra i sessi:
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Gli studi di genere alla SapienzaRoma 10 dicembre 2010 Annamaria Simonazzi Aspetti di genere nella crisi economica e finanziaria
Una premessa necessaria: Non solo una questione di genere e non solo una questione di equità Ragioni economiche a favore dell’eguaglianza fra i sessi: • Ragioni di efficienza a livello di impresa: “business case” sfruttare le potenziali diversità dei lavoratori e cogliere le diverse esigenze dei clienti • Ragioni economiche: eguaglianza di genere come investimento Benefici a livello macroeconomico: • Aumento dell’occupazione femminile • Contributo alla crescita del PIL • Sistema di riproduzione sociale sostenibile • Contributo al sistema fiscale
Struttura analitica Tre dimensioni di analisi • Produzione – protezione sociale • Ciclo di vita • Insider-outsider (situazione sul mercato del lavoro)
Produzione – protezione sociale Produzione Protezione sociale ↓ ↓ generazione di reddito distribuzione La crisi influenza le due sfere in modo diverso: Il mondo della produzione è soggetto alle forze della: Globalizzazione, finanza, tecnologia trasmissione internazionale della crisi Il mondo della protezione soc. subisce gli effetti della crisi sulla finanza pubblica (politiche fiscali restrittive e risanamento del bilancio pubb.) La distinzione: - fornisce un ponte fra fenomeni macro e micro, - aiuta a analizzare la struttura temporale della crisi, - Si parte dall’analisi della situazione di partenza prima della crisi, in modo da individuare gli aspetti di maggiore vulnerabilità
Ciclo di vita La crisi colpisce in modo diverso la popolazione a seconda della fase della vita in cui si trovano: • Giovani: istruzione, ingresso nel mercato del lavoro, formazione di una famiglia, carriera • Maturità: per le donne, si è già cristallizzata l’opzione sulla partecipazione al mercato del lavoro; la crisi ha effetti diversi a seconda se si sia sul mercato del lavoro (occupata o disoccupata) o fuori dal mercato del lavoro (casalinga). • Vecchiaia: dipendenti dalla protezione sociale e dalla famiglia La crisi colpisce in modo diverso i tre gruppi, ma può anche influire sulle transizioni, per esempio da attivo a pensionamento, passando probabilmente attraverso la disoccupazione; o da attivo a inattivo, se crisi occupazionale e crisi del welfare incentivano a dedicarsi al lavoro di cura.
Insiders-outsiders • I lavoratori si trovano in posizioni diverse per quanto riguarda le garanzie sul mercato del lavoro, con segmenti di lavoratori precari o meno protetti • E’ dunque importante caratterizzare le condizioni di partenza al momento della crisi, per valutare la vulnerabilità di ogni gruppo al procedere della crisi.
Piano del seminario • La situazione del mercato del lavoro da un punto di vista di genere. la situazione dell’occupazione l’istruzione (formazione di capitale umano) la segregazione orizzontale la segregazione verticale il “gender pay gap” Conclusioni: Costi economici e sociali della diseguaglianza • Le politiche pubbliche e il welfare Servizi alla persona: stato, mercato, famiglia Il trade-off fra cura e lavoro pagato (politiche di conciliazione) • L’impatto della crisi su occupazione e reddito L’impatto sul mondo della produzione L’impatto sul reddito e sui servizi • Politiche per uscire dalla crisi
IL mercato del lavoro • La differenza di genere: l’Italia e l’UE a confronto • Tasso di attività (o di partecipazione): popolazione attiva (occupati + disoccupati)/popolazione in età di lavoro (15-64) • Tasso di occupazione: popolazione occupata/popolazione in età di lavoro (15-64) • Obiettivi di Lisbona (2010): • tasso di occupazione complessivo: 70% • tasso di occupazione femminile: 60%
La nuova strategia europea per l’eguaglianza fra donne e uomini 2010-15 5 priorità: • l’economia e il mercato del lavoro; • l’eguaglianza retributiva; • l’eguaglianza nelle possibilità di carriera; • la lotta alla violenza sessuale; • la promozione del’eguaglianza di genere fuori dai confini dell’UE
Un bilancio della passata strategia 2000 Inizio di una politica di “gender mainstreaming” 2006 Roadmap for equality between women and men Identificazione dei principali strumenti per la promozione dell’eguaglianza di genere nelle politiche comunitarie, inclusiva di: • Legislazione (raccomandazioni e direttive) • Coordinamento delle politiche • Programmi finanziari • partnership e dialogo sociale. Obiettivi quantitativi (tasso di occupazione femminile, posti in asili nido per bambino) monitoraggio e peer review
Progressi: Occupazione 1. Occupazione: aumento dell’occupazione femminile nella UE da 57,3% a 62,5% fra il 2000 e il 2009 (persone fra 20-64 anni) nello stesso periodo,l’incremento dell’occupazione femminile ha rappresentato il 78,4% dell’aumento dell’occupazione totale (cioè 6 degli 8 milioni di nuovi posti di lavoro creati nell’UE dal 2000 sono stati occupati da donne), Ma..
problemi Quantità di occupazione: Meno del 50% delle donne in età di lavoro sono occupate in Malta, Italia e Grecia ma più del 70% in Denmark, Sweden e Netherlands. Qualità dell’occupazione: Le donne contano per la stragrande maggioranza del part time: 31.5 % delle donne contro solo l’8.3 % of men. Il Lavoro non pagato è ancora pesantemente femminile: le donne occupate spendono una media di 39 ore la settimana in lavori domestici e cura contro 26 ore per gli uomini
Progressi:Istruzione Le donne superano ormai gli uomini nell’istruzione superiore (in Italia 80% delle donne contro il 72% circa dei maschi). In media nella UE rapresentano il 59 % dei laureati; la quota femminile è maggiore del 50% in tutti I paesi, con punte del 65% in alcuni paesi( Hungary, Lithuania, Estonia and Latvia), ma solo il 36% in Scienze, matematica, informatica e ingegneria Ma finora il livello mediamente più alto di istruzione non si è riflesso nei risultati in termini di occupazione Sotto-rappresentate nel mondo della ricerca e università (il 19% dei professori ordinari)
Ritardi • Segregazione orizzontale e verticale • divari retributivi (gender gap) • lavoro non pagato ancora pesantemente femminile
La segregazione di genere • Si parla di segregazione quando i membri di due o più gruppi sono distribuiti nelle diverse categorie di una variabile in modo non casuale. • Per segregazione occupazionale di genere si intende quindi la rilevante concentrazione di lavoratrici nell’ambito ristretto di alcune categorie occupazionali o in alcuni livelli gerarchici. • Si può distinguere fra segregazione orizzontale e verticale.
Segregazione orizzontale • La segregazione orizzontale descrive la concentrazione di occupazione femminile in determinate professioni e in settori di attività ben definiti. • ad esempio più nel campo dell’insegnamento e della sanità che in quello delle libere professioni, in alcuni comparti dei servizi piuttosto che nell’industria. • Tali occupazioni tendono sovente a caratterizzarsi per progressioni di carriera limitate o addirittura inesistenti, scarse opportunità di riqualificazione professionale e livelli retributivi inferiori alla media generale delle retribuzioni.
Segregazione verticale • La segregazione verticale sintetizza invece situazioni dove le donne – molto più spesso dei loro colleghi uomini – si trovano relegate in livelli di inquadramento e qualifiche professionali posti alla base della gerarchia. • Sviluppi di carriera a due velocità per uomini e donne, con queste ultime confinate nei ruoli e nelle mansioni meno prestigiose: «soffitto di cristallo» (dall’inglese glass ceiling).
Interazione fra le due dimensioni • Le due dimensioni della segregazione, sebbene originate da cause differenti, risultano in stretta relazione. • La persistenza della segregazione orizzontale alimenta e rafforza la verticale. • La segregazione di genere è correlata ai differenziali retributivi di genere, (gender pay gap) e alla progressione delle carriere
Riassumendo: • L’ipotesi di fondo è che la componente femminile tenda a essere segregata – tanto a livello orizzontale che verticale – per settore e professione in occupazioni con salari medi molto bassi e scarse prospettive di sviluppo di carriera: a) le donne sono sovrarappresentate nelle occupazioni non manuali (horizontal segregation); b) gli uomini dominano le migliori occupazioni fra quelle non manuali (non manual vertical segregation), c) gli uomini dominano le migliori occupazioni fra quelle manuali (manual vertical segregation) (Charles and Grusky 2004).
Ragioni della segregazione: A. La teoria economica neoclassica I salari dipendono dalla produttività del lavoro, e dunque spiega i differenziali salariali e la segregazione occupazionale in termini di differenti investimenti in capitale umano e diversa produttività tra uomini e donne, risultato di preferenze diverse tra i due sessi nella divisione del lavoro all’interno della famiglia. Sequenza causale: • Minore investimento in istruzione e formazione, • presenza meno continuativa delle donne sul mercato del lavoro, • concentrazione in settori di attività e posizioni professionali dove l’investimento richiesto in capitale umano è limitato e l’esperienza professionale meno rilevante. • Tali settori e professioni sono quelli caratterizzati da una minore produttività e quindi da salari comparativamente inferiori alla media delle retribuzioni.
La situazione dell’Italia • Questo quadro non sembra riprodurre più le condizioni del mercato del lavoro italiano. • rispetto alla popolazione di 15 anni e oltre la quota di laureati uomini nel 2003 era ancora leggermente superiore alla femminile, ma • le posizioni si invertono quando ci si riferisce agli individui appartenenti alle forze di lavoro (15,1% di laureate contro il 10,8% dei maschi) e le medesime proporzioni vengono mantenute se si considerano soltanto gli occupati. • Nelle coorti più giovani le donne hanno superato gli uomini sia per quota di laureate sia per risultati (voti e tempo di laurea) • Nel caso italiano appare eventualmente più appropriato parlare di segregazione formativa, data la forte concentrazione di laureate in determinati indirizzi di studio, più che di minore investimento in istruzione-formazione da parte delle donne tout-court. La segregazione formativa favorisce poi quella occupazionale.
B. Modelli non-neoclassici • Il salario non riflette esclusivamente la produttività del lavoro • la discriminazione non è un’eccezione bensì il modus operandi del sistema economico (teorie della segmentazione del mercato del lavoro). • la divisione del lavoro all’interno della famiglia è soltanto uno dei fattori che contribuiscono alla segregazione occupazionale. La discriminazione è infatti spesso associata all’esistenza di mercati del lavoro segmentati in binari principali – caratterizzati da stabilità e salari elevati a predominanza maschile – e in binari secondari, dove invece prevalgono instabilità e salari bassi nei quali si concentra l’occupazione femminile. • L’appartenenza a uno dei due mercati, peraltro non comunicanti, viene a dipendere allora più da norme sociali, contesto culturale, suddivisione dei ruoli all’interno del nucleo familiare e condizioni di ingresso differenti che non dalla produttività del lavoro.
C. Spiegazioni sociologiche • Gli studiosi delle scienze sociali, infine, sono concordi nell’individuare la segregazione di genere - ossia i differenti ruoli sociali tradizionalmente ricoperti da uomini e donne - come causa iniziale del fenomeno della segregazione occupazionale. • Senza dubbio nelle società moderne, che attraverso il tipo di professione svolta definiscono lo status sociale e distribuiscono sia reddito sia prestigio, la segregazione di genere presente nelle diverse professioni contribuisce a determinare minor potere e livelli retributivi inferiori per le donne (Reskin e Padovic, 1994).
Interazione segregazione-famiglia Esiste certamente un meccanismo di feedback fra segregazione occupazionale di genere e scelte riguardanti la formazione della famiglia. • Da una parte il tipo di lavoro può influenzare le preferenze, le aspettative e le strategie usate dagli individui per conciliare esigenze lavorative e familiari. • Dall’altra, il fatto che i datori di lavoro preferiscano solo uomini o solo donne per alcune professioni viene spesso non solo giustificato dalle differenti responsabilità familiari e modalità di lavoro, ma anche interiorizzato durante il processo di socializzazione in modo così pervasivo che queste poi diventano le preferenze individuali (stereotipi).
La segregazione orizzontale in Italia Sviluppo dei servizi e segregazione • Elevati valori della segregazione nei paesi a più elevato sviluppo dei servizi (paesi scandinavi): espansione dei servizi maggiore occupazione femminile maggiore segregazione • “terziarizzazione ridotta” (Bettio e Villa, 1998): il tipo di terziarizzazione che ha spinto la crescita dell’occupazione femminile nel resto dei paesi industrializzati ha avuto un impatto relativamente più ridotto, ma niente affatto trascurabile, sul sistema economico italiano. • Ciò a causa dell’assetto sociale italiano – identificato nel “familismo” che può a sua volta dipendere da atteggiamenti culturali interni alla famiglia, ma anche da carenze nell’offerta di strutture sociali adeguate – che ha inibito l’esternalizzazione di alcuni tipici beni e servizi femminili (cura all’infanzia o ai non autosufficienti), allo stesso tempo riducendone la domanda e scoraggiandone l’offerta.
Conseguenze per l’occupazione femminile Due diversi processi, importanti nella fase di crescita, ma anche per capire gli effetti della crisi: • Variazione della composizione dell’occupazione per macro-settori • Variazione dell’occupazione per professioni • La componente femminile ha incrementato la sua presenza soprattutto nelle professioni non manuali sia ad alta che a bassa qualifica, sfruttando la forte crescita di questi settori. L’aumento è comparativamente superiore rispetto agli occupati uomini anche se, in valore assoluto i progressi sono ancora marginali.
Conseguenze per l’occupazione femminile • L’espansione dell’occupazione femminile è stata ragguardevole in particolare nel gruppo delle professioni intermedie (professioni amministrative, finanziarie, assicurative e commerciali), e in quello relativo alle vendite e ai servizi alle famiglie. • La distribuzione delle occupate appare molto più concentrata (o segregata) in confronto alla componente maschile, spalmata in modo più equilibrato tra i grandi gruppi professionali.
Conclusioni • l’espansione dell’occupazione femminile non ha inciso positivamente sui livelli di segregazione. • un numero molto ristretto di donne è riuscito a far breccia nelle professioni più prestigiose e meglio remunerate, e pochi uomini intraprendono le professioni più femminilizzate. Ciò sta a significare che le preferenze degli individui e i modelli di riferimento restano inalterati (ma come agisce su questo la crisi e la disoccupazione?). • Lo sviluppo delle professioni legate al settore dei servizi e la progressiva diffusione del part-time, se da un lato hanno favorito l’imponente crescita femminile del mercato del lavoro italiano, colmando peraltro parzialmente un ritardo storico accumulato dal nostro paese, dall’altro costituiscono due fattori potenzialmente in grado di determinare livelli di segregazione più elevati, come insegna l’esperienza di mercati del lavoro più sviluppati di quello italiano.
Interazione fra Segregazione orizzontale e segregazione verticale • Le professioni non sono tutte equivalenti e si distinguono per il grado di prestigio ad esse attribuito. Alcune professioni possono essere preferite ad altre perchè garantiscono maggiore accesso alle risorse economiche, o perchè sono il risultato di un maggiore investimento in capitale umano e, tipicamente, l’accesso delle donne ad occupazioni più prestigiose è limitato. • le categorie professionali possono essere ordinate a seconda di criteri di preferenza, utilizzando i criteri principali che concorrono a stabilire il prestigio di ciascuna occupazione, ovvero la retribuzione, il prestigio, o il livello di istruzione.
Segregazione verticale Le donne rappresentano (intorno al 2010, media UE): 24% dei membri del parlamento, 2 % ministri, 30 % dei manager delle imprese private (ma meno del 25% nella maggioranza dei paesi) 1 donna su 10 nei consigli di amministrazione 3% dei presidenti dei CdA 19% dei professori universitari di prima fascia (contro un obiettivo del 25% fissato nel 2005)
Tasso di cambiamento Variazioni al 2007 rispetto alla Piattaforma d’Azione di Berlino, lanciata nel 1995: media UE Parlamento nazionale: da 10 a 17% Parlamento Europeo: da 16 a 24% Assemblee regionali: 30% Governi nazionali: 24% Banca centrale e altre banche internazionali: 16% Posizioni Manageriali: 33% Top manager nelle grandi imprese: 10% Pubblica amministrazione (2 livelli superiori): da 17 a 33% Amministrazione UE: da 14 a 20% Legislativo (EU15): da 15 a 18% Quote? (cfr. www.ingenere.it)
Il divario retributivo di genere (gender pay gap) Come si calcola? Si considerano i differenziali salariali grezzi per ora lavorata (ovvero il salario orario medio di uomini e donne) si calcola la differenza e la si esprime come percentuale del salario orario maschile. Mediamente, nella UE le donne guadagnano il 18% in meno degli uomini per ora lavorata. Cosa influenza il valore medio aggregato? • differenze nella composizione della forza lavoro (età, istruzione, settore di attività, tipo di occupazione (operaio, impiegato, insegnante, dirigente, ecc.) • differenze nella remunerazione delle caratteristiche individuali e occupazionali tra i sessi.
Differenziale grezzo: l’Italia è davvero la meno diseguale? • Il differenziale salariale “grezzo” per l’Italia è pari al 4,9%. Ciò significa che in media le donne occupate con un lavoro dipendente ricevono una retribuzione oraria inferiore del 4,9% rispetto alla media degli uomini. • Ma questo calcolo non tiene conto né delle differenze nelle caratteristiche individuali, né di eventuali differenze nella remunerazione delle caratteristiche. Inoltre, non tenendo conto del basso tasso di occupazione femminile registrato in Italia, implica una sottovalutazione del differenziale salariale dato che è più probabile che entrino nel mercato del lavoro le donne più istruite (quindi con retribuzioni più elevate della media).
Paola Villa, “Gender pay gap” InGenere.it • le donne occupate in Italia hanno mediamente un livello d’istruzione più elevato rispetto agli uomini • il tasso di occupazione femminile: nel nostro paese il 52,8% delle donne (15-65 anni) non ha un lavoro retribuito (o perché inattiva, o perché disoccupata). Il differenziale salariale “grezzo” pari a 4,9% (calcolato considerando solo le persone occupate) ignora il fatto che in Italia per la maggioranza delle donne in età lavorativa il salario è pari a zero. • retribuzione oraria versus retribuzione mensile o annua: Le donne tendono a lavorare meno ore rispetto agli uomini perché scelgono lavori con orari più brevi (es. insegnanti), sono maggiormente occupate in lavori part-time, sono meno disponibili al lavoro straordinario. Quindi, se consideriamo il reddito lordo annuo, le donne percepiscono tra il 50% e il 70% di ciò che guadagnano gli uomini.
Costi economici e sociali della diseguaglianza Spreco di risorse e talenti (partecipazione femminile al m.d.l, utilizzazione del K. umano) Costo economico per le imprese Sostenibilità del modello di sviluppo (squilibrio demografico e invecchiamento della popolazione, tasso di fecondità, sostenibilità dei sistemi pensionistici e di cura) Fecondità e occupazione: relazione complessa maternità partecipazione al mdl Occupazione e tasso di fecondità correlati positivamente Esclusione sociale e povertà: la frammentazione della carriera lavorativa si riflette in minori sussidi di disoccupazione, minori pensioni, e maggiore rischio di povertà nell’arco della vita e in età avanzata (con un reddito medio inferiore alla soglia stabilita al 60% del reddito mediano) maggiori costi per il welfare
Conclusioni: L’occupazione femminile (in Italia) alla vigilia della crisi Aumento del tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro, ma ancora basso rispetto alla media EU e agli obiettivi di Lisbona. Modello di partecipazione cambia nel tempo da V rovesciata a U rovesciata (rimangono cioè sul mercato del lavoro anche nell’età centrale). • Coorti più giovani • e più istruite. Contributo dell’istruzione nell’attaccamento al lavoro (che contrasta l’effetto negativo della maternità)
L’evoluzione del tasso di occupazione femminile per età in Italia, 1977-2003 (%)
Conclusioni (continua) Passaggio dal “male breadwinner” (o famiglie con il solo capofamiglia occupato) a 1,5 (part-time) o 2 componenti attivi sul mercato del lavoro • Interazione fra ruolo della famiglia, peso dei servizi pubblici, e tasso di attività femminile Effetto negativo della persistente carenza di servizi e della divisione per sesso del lavoro di cura • Interazione fra tasso di attività femminile, peso dei servizi e fecondità: invecchiamento della popolazione e sostenibilità di lungo periodo del modello • Scarse opportunità di conciliazione (part-time, orario flessibile) e comunque utilizzate prevalentemente dalle donne.
Impatto di genere della crisi: 1. produzione, occupazione, reddito Più stretto legame fra ciclo e occupazione (dovuto alla diffusione dei contratti atipici e alla riduzione di reti di protezione tradizionali La disoccupazione maschile è cresciuta di più di quella femminile
Impatto di genere della crisi (2) Ma “effetto ottico”? La crisi economica attuale è diversa dalle precedenti. il peso della recessione è più uniformemente diviso tra donne e uomini: • cambiamenti nel tasso di occupazione femminile, • nella composizione del budget familiare • nella ripartizione dell’impatto della crisi tra i diversi settori dell’economia, con un più rilevante impatto, rispetto al passato, su quelli maggiormente femminilizzati. Ma rischio di non essere considerato nei programmi di policy contro la crisi, a causa del peso comunque preponderante della perdita di occupazione maschile e anche a causa di alcuni problemi di visibilità nelle statistiche del lavoro femminile. I programmi esistenti di sostegno alla disoccupazione penalizzano economicamente le donne che hanno perso il lavoro (es. sussidi di disoccupazione) (insider outsider).