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Escatologia - Lezione 30^

Capitolo XI L’escatologia. Escatologia - Lezione 30^. Cristo perduto: l’inferno. Che cosa significa l’inferno? Non confondere: plurale “inferi” e singolare “inferno” Alcune suggestioni iniziali:

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Escatologia - Lezione 30^

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Presentation Transcript


  1. Capitolo XI L’escatologia Escatologia - Lezione 30^

  2. Cristo perduto: l’inferno

  3. Che cosa significa l’inferno? • Non confondere: plurale “inferi” e singolare “inferno” Alcune suggestioni iniziali: • È uno stato di incompatibilità totale e definitiva con Dio, che la vita storica fonda, la morte sigilla e l’aldilà non può far altro che sanzionare (J. Doré). • “è la sconvolgente possibilità di una eternità di segno opposto” (Durrwell) • “è l’oscurità delle oscurità” (Ratzinger) e lo “scandalo degli scandali” (G. Martelet)

  4. Evitare due tentazioni estremistiche: • Considerare la morte eterna come una verità sullo stesso piano della vita eterna: simmetria assoluta di una storia che può essere di salvezza o di condanna 2) Eliminare ogni reale possibilità di condan-na, a favore di una salvezza senza eccezioni: asimmetria assoluta della storia o tesi della apocatastasi.

  5. La storia non ha due fini, ma uno solo: la salvezza è l’oggetto dell’escatologia; mentre la condanna è una possibilità, che si può verificare come contraddizione all’unico fine. La possibilità della morte eterna non può venire considerata come un tema “isolato in se stesso” (D. Wiederkehr) e parallelo alla salvezza. “Il cristiano crede nel paradiso, viceversa non possiamo dire che crede nell’inferno, perlomeno non dando il medesimo significato al verbo credere. La fede è essenzialmente speranza e per tutti. La speranza viene però espressa di fronte all’abisso del possibile fallimento. Tale abisso rimane una possibilità reale fintanto che gli uomini vivono nel tempo” (F.J.Nocke)

  6. A partire dall’AT • Fino al periodo ellenistico (quando appare il genere apocalittico): lo sheol (soggiorno delle ombre) è la dimora destinata agli empi Prefigurazioni di un fallimento assoluto nell’al di là • Is 66,24: i cadaveri dei peccatori non sepolti vicino a Gerusalemme nella valle di Ben-Hinnon (Geenna) che sono tormentati in perpetuo dal “verme che non muore” e dal “fuoco che non si estingue” (amplifica Ger 19,2-15) • Dn 12,2: “infamia eterna” o “orrore eterno” (vedi l’escatologia dell’epoca, circa 160 aC)

  7. Giubilei 36,7-11: passibile del fuoco eterno chi nuoce a suo fratello • Sapienza (inizio del periodo romano): • il peccatore distrugge se stesso col proprio peccato (Sap 11,16; 12,23; 17,21) • il destino degli empi: Sap 5,14-23; 3,10.19-20

  8. Nel NT Gesù mette in guardia dalla possibilità di perdersi eternamente. • Gesù parla per 11 volte della Geenna. • L’Ade (lo sheol del greci, per 4 volte) è come l’Abisso, una parte del cosmo relegata al punto più basso (Lc 10,15) L’idea è resa con una duplice serie di passi che la descrivono: • Sotto l’aspetto della esclusione dalla vita di Dio • Sotto l’aspetto doloroso che tale esclusione comporta.

  9. Espressioni che significano la negazione della comunione con Dio che costituisce la beatitudine: • “perdere la vita” (Mc 8,35) • “perdere anima e corpo nella Geenna” (Mt 10,28) Se “conoscere” indica la “vita eterna” sotto il profilo del comunicare nella sfera di una rela-zione interpersonale, alcune formule indicano il contrario: - “Io lo rinnegherò davanti al Padre mio” (Mt 10,33) • “Non vi conosco” (Mt 25,12; Mt 7,23) • “Non so di dove siete” (Lc 13,25-27)

  10. Corrispondenza dell’immagine del Regno come banchetto, i peccatori sono cacciati fuori dalla mensa: • Non entrare nel Regno (Mt 5,20; 18,3) • Le vergini stolte “restano fuori” dal banchetto di nozze (non ri-conosciute dallo sposo), mentre le vergini prudenti entrano con lui (Mt 25,10-12) • Paolo: “non ereditare il Regno” (1Cor 6,9-10) • Giovanni: “non vedere la vita” (Gv 3,36) Immagini che fanno pensare alla dannazione non come “castigo” ma come occasione perduta: il restar fuori da quell’accesso immediato a Cristo mediante il quale si riceve la vita eterna.

  11. Particolare importanza hanno anche le parabole dove prende rilievo la possibilità di un esito finale negativo: • zizzania • pesci scartati • commensale senza veste nuziale • maggiordomo infedele • servo che conserva il talento • il ricco Epulone e il povero Lazzaro.

  12. Qui l’inferno non viene descritto in sé per sé (come entità a se stante) ma si giunge ad esso anteponendo una negazione alle descrizioni della salvezza. L’inferno è l’immagine invertita della gloria: • All’essere con Cristo corrisponde l’essere allontanati da lui • all’entrare nel regno, il rimanerne fuori • Alla vita eterna corrisponde la morte eterna: Lc 13,3; Gv 5,24;6,50;8,51; 1Gv 3,14; 5,16-17; Ap 20,14,

  13. 2) Oltre a questo linguaggio negativo (cosa non è l’inferno), il NT (specie nei sinottici) contiene descrizioni in termini positivi (cosa è) della morte eterna • si usano alcune immagini dell’apocalittica coeva: ‘fuoco’ • “geenna di fuoco” (Mt 18,9) • Fornace ardente (Mt 13,50) • Fuoco inestinguibile (Mc. 9,43.48) • Stagno di fuoco e zolfo (Ap 19,20) (cf. Mt. 5,22; 13,42; 25,41)

  14. ‘tenebra’ (cf. Mt. 8,12; 22,13; 25,30) ‘là sarà pianto e stridore di denti’ per dire la sofferenza della separazione in termini fisici (cf. Mt. 8,12; 13,42.50; 22,13; 24,51; 25,30; Lc. 13,28).  verme che non muore (Mc 9,48) • Paragonato alle descrizioni fantasiose e terribili dell’apocalittica, il linguaggio del NT appare più sobrio e riservato. • Gesù usa queste immagini per esprimere il pericolo dal quale intende mettere in guardia (“moniti profetici per dire l’urgenza del Regno e l’appello alla conversione da non rinviare”) • per richiamare l’attenzione sull’abisso, ma non per fissare l’attenzione sull’abisso

  15. questo linguaggio simbolico vuol sottolineare che la privazione eterna di Dio suppone per l’uomo il tragico fallimento della vita e quindi il massimo delle sofferenze NB: La pena va a sanzionare l’omissione di semplici gesti compassionevoli (Mt 25,24-28.45). È una chiave interpretativa: • le compatibilità sono scartate (la “collera dell’Agnello davanti alla quale nessuno può resistere”: Ap 6,16ss) • l’umanità è confrontata con due situazioni inconciliabili, tanto esigenti nelle piccole come nelle grandi cose.

  16. NOTA: proiezione escatologica della differenza ineliminabile tra bene e male • Cfr. Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor nn. 35,41,54: l’inferno significa anzitutto che la differenza tra il bene e il male non sarà mai cancellata, perché essa apre o chiude le porte del Regno in base al fatto che la si rispetti o la si violi, dando così il diritto-dovere di distinguere tra maledetti e benedetti (Mt 25,41.43)

  17. La preponderanza dell’immagine del fuoco. Come interpretarla? Perché è prevalsa? • Un fuoco reale? Esegeticamente improbabile come se, al contrario, il banchetto conviviale fosse una parte della beatitudine eterna! • Una pena causata da un agente materiale o esterno al dannato? • Sinottici: il fuoco non è una parte dell’inferno, è proprio questo stato: al regno di Dio si oppone il fuoco eterno (Mt 25,34.41) • Però non opporre una pena privativa (come nei testi precedenti sulla esclusione) e una pena diversa di indole positiva (castighi, afflizioni)

  18. I testi parlano della medesima realtà: la privazione di Dio • L’immagine del fuoco è prevalsa (nelle formule di tipo positivo) perché suggerisce un dolore sommamente acuto e penetrante? Qui la associazione spontanea della nostra sensibilità • Non così nella cultura semitica: l’uso del fuoco nella vita quotidiana come destino di ciò che è diventato inservibile • L’albero che non da frutto sarà gettato nel fuoco e la scure è già alla radice (Mt 3,10) • Ogni albero che non da frutto sarà gettato nel fuoco (Mt 7,19) • La zizzania è gettata nel fuoco (Mt 7,19)

  19. NB: L’immagine del fuoco non è usata per illustrare un dolore fisico che accompagna la esclusione dal regno, ma la vacuità di una vita senza la relazione con Dio: resta una vita frustrata, inutile come un albero senza frutto o la pula senza grano: il suo è il destino di ciò che non serve a nulla.

  20. Paolo: stile apocalittico per descrivere il castigo ginale in 2Ts 1,9: “rovina (olethros) eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza” • Altrove: perdizione(apolymi, apoleia): Rm 9,22; 1Cor 1,18; 2Cor 2,15; 4,3; Fil 3,19 • oppone alla vita eterna la collera (thymos) e lo sdegno, nella prospettiva del giorno dell’ira (orgé: Rm 2,5-8); è l’ira ventura (1Ts 1,10) • 1Cor 2,6: katargein: un annientamento degli spiriti del male piuttosto che una loro punizione • Eb 10,26-31: non un inferno eterno, ma un castigo peggiore della morte,

  21. Giovanni: poche immagini (solo Gv 15,6) Lascia al destinatario di interpretare le parole: • “risurrezione di condanna” (5,29) • “morirete nei vostri peccati” (8,21-24) • “perire” invece di “avere la vita eterna” (3,16) C’è un peccato che conduce alla morte definitiva (1Gv 5,16) • Che è la “seconda morte” (Ap 2,11) • Lo stato di questa morte è senza termine: “un tormento che dura per i secoli dei secoli” (Ap 14,11)

  22. Bibbia: ci offre indizio per conciliarela natura esclusivamente salvifica di Cristo e la possibilità di una dannazione eterna. Gv 3,17-19; 12,47-48: il giudizio di condanna procede dal condannato stesso, in quanto non crede e non accoglie la parola: - “colui che non crede è già condannato” (3,18) - “la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno” (12,48). - non è necessario che Cristo condanni qualcuno: “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno, perché non sono venuto a condannare ma per salvare” (12,47)

  23. TRADIZIONE ECCLESIALE sull’inferno Apologisti: giustificazione razionale delle pene infernali: • Giustino: l’inferno è un contributo alla pacifica convivenza e all’ordine sociale perché postula che la giustizia eterna non lascerà impuniti i malvagi • Ireneo e Minuzio Felice: l’eternità delle pene Origene: si allontana su due punti: • In dubbio il carattere eterno della dannazione: le pene hanno carattere medicinale, dunque sono temporali. Parla da filosofo che pensa

  24. con una visione ciclica della storia nella quale il destino degli individui non può mai essere definitivamente fissato. • In alcuni testi sembra sostenere l’apocatastasi • Dice però: “tutte queste cose le tratto con cautela, considerandole discutibili e rivedibili piuttosto che stabilendole come certe e definitive” (Peri archon1,6,1). • Ebbe un grande influsso, specie su Gregorio di Nissa • Condanna del sinodo di Costantinopoli (DS 411) alle opinioni origeniste dei monaci di Gerusalemme e affermazione unanime circa la durata eterna dell’inferno.

  25. 2) La natura del fuoco secondo Origene. • Si oppone alla concezione materiale del fuoco: “ogni peccatore accende da sé la fiamma del proprio fuoco. Non che sia immerso in un fuoco acceso da altri e esistente prima di lui, ma che l’alimento e la materia di questo fuoco sono i nostri peccati” (Peri archon, 2,10,4) • Il fuoco infernale: simbolo del tormento interiore del dannato afflitto dalla propria deformità e dal proprio disordine Poi Crisostomo: “dal momento in cui qualcuno è condannato al fuoco, evidentemente perde il regno e questo è la disgrazia più grande”

  26. Agostino: l’essenza della morte eterna non sta nei castighi sensibili: “si avrà la morte eterna quando l’anima non potrà vivere non avendo Dio” (De Civ. Dei 21,3,1). Documenti del MAGISTERO sull’inferno • Simbolo Quicumque (V-VI sec): “coloro che fecero il male andranno al fuoco eterno” (DS 76) • Editto di Giustiniano al sinodo di Costanti-nopoli del 543: condanna gli origenisti “che pensano che il supplizio dei demoni e degli empi è temporale o avrà fine un giorno” (DS 411)

  27. MEVO: Laternanese IV (1215): contro gli albigesi che pensavano alla pena come a uno stato di “incarnazione”: • le anime peccatrici soffriranno tante incarnazioni quante saranno necessarie per liberarsi dalle loro colpe • l’apocatastasi porrà fine a queste incarnazioni successive e comporterà l’annichilimento della materia (un neo-origenismo). Condanna della tesi e correzione: i peccatori “riceveranno col diavolo una pena perpetua” (DS 801).

  28. Costituzione di Benedetto XII (XIV sec), Benedictus Deus: • “le anime di coloro che muoiono in peccato mortale attuale scendono all’inferno dove sono tormentate con pene infernali” (DS 1002) • pena del peccato è la mancata visione di Dio (già segnalato da Innocenzo III: DS 780) Conc. Vaticano II: GS 48 (l’inferno come possibilità reale) CCC n. 1035: ribadisce: esistenza, eternità, penalità del “fuoco eterno”

  29. RIFLESSIONI TEOLOGICHE sull’inferno Punto di partenza coerente con rivelazione: • vieta di attribuire alla volontà di Dio la respon-sabilità diretta di uno stato di perdizione e di una creatura (Diavolo) la cui unica ragione di essere consiste nel servire da strumento di supplizio per altre creature • Dio non può creare né volere il peccato e l’inferno: totalmente incompatibili con Dio • Tesi del predestinazionismo: Dio ha una volontà positiva di dannazione, fu combattuta a più riprese (Lucido nel V sec., calvinismo, giansenismo…)

  30. Bisogna cercare nell’uomo la causa della esistenza dell’inferno: • Inferno come sanzione intrinseca alla colpa • Inferno è una creazione dell’uomo: basta che esista un uomo che opta coscientemente e volontariamente per una vita senza Dio • Solo l’uomo, non Dio, può dare a se stesso la morte eterna (inversamente solo Dio e non l’uomo, può dare all’uomo la vita eterna) - l’inferno può esistere solo come prodotto uma-no (in modo analogo il paradiso può esistere solo come autodonazione divina)

  31. Quanto l’escatologia afferma sull’inferno riguarda unicamente il livello delle persone singole (per me) , non il livello comunitario. A livello comu-nitario la chiesa predica solo la salvezza universale. Ma ciò che è valido per l’umanità come un tutto unitario non è necessario che lo sia per tutti e ciascuno, sotto pena di ledere irrimediabilmente l’oggettività di un ordine fondato da Dio sulla facoltà di risposta libera e responsabile. Non sussisterebbe più la serietà di una storia libera: un processo meccanico di divinizzazione della creatura, nel quale Dio è l’unico attore reale.

  32. “Apokatastasi panton? No, poiché la grazia che, alla fine, abbracciasse tutti e ciascuno non sarebbe la grazia libera, la grazia divina. Ma potrebbe esserlo (libera!) se noi potessimo impedirle in assoluto di farlo? (di riconciliare tutti)” (K. Barth).

  33. Questione: può un uomo lucido realizzare la sua esistenza come un no irremovibile all’interpellazione di Dio? • Negazioni teo-logiche esplicite e dirette di Dio • Negazioni umane di Dio: lo si rifiuta nell’odio verso l’uomo che è l’immagine di Cristo

  34. Non si può negare l’esistenza obiettiva di situazioni di peccato (sociale - individuale) che postulano una responsabilità soggettiva localizzabile in una personalità creata (umana, altrimenti Dio sarebbe l’autore del male). - Questo io umano si sta affermando contro Dio/senza Dio, attinto atematicamente e implicitamente nella mediazione del prossimo.

  35. Una comprensione dell’inferno solo speculativa (una possibilità possibile), spoglia l’uomo del potere di essere fautore del suo destino e ignora il fatto costatabile del peccato. In riferimento al peccato, emerge il carattere reale, non speculativo, della possibilità dell’inferno. O meglio: nel fatto del peccato, la possibilità si avvera già come fatticità, a cui manca solo la consolidazione per realizzarsi in modo ultimativo come “morte eterna”.

  36. “L’uomo che ha intessuto la sua storia di continue negazioni e di rifiuti di Dio, come rifiuto di Cristo e ostacolo radicale alla azione dello Spirito, potrebbe confermare nell’offerta ultima che Dio gli fa nel momento della morte, mediante un atto di rifiuto radicale e sommamente libero, la sua volontà di voler rimanere assolutamente distante da Dio, dai suoi simili e dal suo mondo, col risultato di definire la sua condizione escatologica come condizione di morte eterna/dannazione” (G. Ancona, Escatologia 329)

  37. L’inferno non va letto in modo isolato ma speculare: hasenso in relazionea un’altra offereta = quella della felicità e della santità. • Non lo si può dunque capire se non nella misura in cui la libertà umana si trovi posta davanti a una alternativa decisiva, di cui coglie tutta la serietà. • Optare «per l’inferno» con conoscenza di causa, ossia nel rifiuto assoluto della promessa e dell’amore di Dio, costituisce una specie di caso limite = “La lucidità, propriamente diabolica, che dovrebbe caratterizzare un’esistenza storica «orientata all’inferno» non sembra trovare un posto «normale» in seno alla storia” (H. Bourgeois)

  38. La possibilità dell’inferno può venire espressa, allora, insistendo: • sul peso della libertà che è la “facoltà del definitivo” • sull’irreversibilitàdella morte • e sull’urgenza della storia la logica di un dialogo tra Dio e la creatura è l’argomento più forte in favore del fatto che Dio prevede la possibilità dell’inferno in quanto tale dialogo accade solo nella libertà un “paradiso imposto” sarebbe ancora un paradiso, sarebbe ancora un atto amoroso?

  39. “L’amore di Dio non potrà venire meno neppure per il peccatore che rifiuta di conoscerlo; esso non può, però, nemmeno forzarlo ad amare, perché la violenza è l’esatta antitesi dell’amore” (G. Colzani, La vita eterna, 142) l’amore (nel quale consiste la felicità eterna) non è pensabile senza libertà: come se alla fine (anche se non voglio) “io sarò in ogni caso uno che ama” (ma allora non è più il “mio” amore personale a determinare il mio destino)

  40. La libertà ha il potere di fare scelte definitive, irre-versibili, come il peccato mortale (CCC n. 1861). Cedere a questa possibilità significa esporsi a questo stato di definitiva autoesclusione dalla comunione con Dio e coi beati, che viene designato con la parola “inferno” (CCC 1033). Pensare l’inferno non come una realtà inesora-bile per la libertà, che si crederebbe o vorreb-be votata al male, ma come una eventualità evitabile , che ci rimanda alla grandezza innata e al nodo vitale di una libertà lasciata a se stessa per poter rispondere all’Amore che la fonda.

  41. L’essenza della morte eterna: in cosa consiste l’inferno • La vita eterna: vedere Dio, vivere insieme a Dio, partecipare dell’essere di Dio • La morte eterna: negazione della vita, irreparabile lontananza da Dio, vuoto causato dalla sua assenza Distinzione classica: poenadamni Pene infernali: poenasensus

  42. Comprendere l’inferno come poenadamninella continuità tra peccato (prima morte) e morte eterna (seconda morte). Questa rende esplicito il contenuto virtuale di quello: il rifiuto di Dio. L’inferno è il risultato di tale rifiuto: l’esistenza senza Dio. Un inferno così descritto non impressiona troppo la immaginazione.

  43. Ciò avviene perché non abbiamo ancora una esperienza completa di ciò che significa una esistenza senza Dio. Durante la sua parabola terrena Dio non è così lontano dal peccatore da non raggiungerlo: anche per il peccatore egli è colui che non vuole la sua morte, ma che si converta e viva. L’esperienza della lontananza di Dio nel tempo non è paragonabile con quella che si verificherà nell’eternità: l’inferno inaugura un vissuto diverso.

  44. Ancora non sappiamo appieno cosa significhi vivere senza Dio (= il danno): • Essere fatti per lui e non poterlo raggiungere • Percepire come forza repulsiva ciò che invece rappresenta il centro di attrazione del desiderio umano • Perdere il senso di una esistenza che ormai non ha più oggetto Ruiz de la Pena: questo nostro “non sapere” spiega perché la rivelazione deve integrare lo scarno linguaggio negativo (perdere Dio) con quello positivo del “fuoco eterno”.

  45. La pena del danno: come dirla oggi? • Non si tratta tanto di punizioni inflitte dall’e-sterno,quanto diuna situazione di infelicità e tormento che è espressione e conseguenza di una vita rimasta “esterna” alla comunione con Dio, di cui Dio stesso non può far altro che prendere atto. • È il carattere spirituale e doloroso della lucidità di chi dopo la morte vede “l’amore di Dio perduto per sempre”. • Vedi citazioni patristiche:

  46. In quanto a me, io dico che quelli che sono tormentati nell’inferno lo sono dall’invasione dell’amore. Che c’è di più amaro e di più violento delle pene d’amore? Coloro che sentono di aver peccato contro l’amore portano in sé una dannazione ben più grande dei più temuti castighi. La sofferenza che il peccato contro l’amore mette nel cuore è più lacerante di ogni altro tormento. È assurdo pensare che i peccatori nell’inferno saranno privati dell’amore di Dio. L’amore è donato senza divisione. Ma, a causa della sua stessa forza, agisce in due modi. Esso tormenta i peccatori, come succede quaggiù, che la presenza di un amico tormenta l’amico infedele. Ed esso fa gioire in sé quelli che sono stati fedeli. Tale è a mio avviso il tormento dell’inferno: il rammarico di perdere l’amore (Isacco di Ninive, Discorsi Ascetici I, 239)

  47. Qui si può cogliere la corrispondenza tra l’immagine biblica del fuoco e la fenomenologia dell’amore. In entrambi i casi c’è una dialettica: • Il fuoco positivo (dell’amore): Gesù deve battezzare col fuoco (Mt 3,11); la discesa dello Spirito è rivelata con il simbolo del fuoco (At 2,1ss) • Il fuoco tenebroso (vedi sopra i rimandi biblici): che è immagine del tormento per l’amore perduto

  48. T. Spidlik: “Avendo coscienza di non essere conforme, nello stato in cui è, a come avrebbe dovuto essere secondo il disegno di Dio – allo somiglianza divina – l’uomo tuttavia ama questa immagine e non vi può rinunciare, perché è Cristo, in cui egli vede se stesso, e non può non amare se stesso così come si manifesta in Cristo. Questo amore è lo Spirito santo, che gli infiamma il cuore, ma che diventa anche un giudizio su se stessi e sulla lontananza che lo separa da Cristo e da se stesso in Lui. Allora lo stesso fuoco, il fuoco dell’amore, brucia e allieta, tormenta e rallegra” (Maranathà, 184-185).

  49. E la pena sensibile: la poenasensus? • Una pena sensibile proveniente da una causa materiale? • No: una pena che deriva dalla creaturalità dell’uomo: un-essere-in relazione • Qui non vale la ipotesi dell’annichilimento: i dannati saranno annientati; questo è un enunciato contraddittorio per due motivi: • la persona è un’entità assoluta, perennemente valida e non può disporre del suo essere in ordine all’esistenza, che ha ricevuto in dono • Dio non può e non vuole rinnegare la sua creazione, nemmeno quando è peccatrice

  50. La sofferenza “sensibile” dipende dal fatto che l’essere umano non può perdere la sua condizione relazionale rispetto all’alterità del mondo e degli altri umani: “Nella nuova creazione centrata su Dio, l’empio non troverà la sua collocazione; sperimenterà il mondo degli altri, non come dimora accogliente, ma come ambiente inospitale, che lo assedia e lo opprime senza tregua, ma dal quale non può evadere perché a esso lo lega la sua mondanità costitutiva” (Ruiz de la Pena).

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