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MALFORMAZIONI GENITO-URINARIE

MALFORMAZIONI GENITO-URINARIE. MALFORMAZIONI RENALI. DI NUMERO: Agenesia renale bilaterale : assenza dei reni, associata solitamente ad altre anomalie quali l’ipoplasia polmonare, il criptorchidismo, l’agenesia testicolare. Incompatibile con la vita. Incidenza 1 su 4800 nati.

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MALFORMAZIONI GENITO-URINARIE

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  1. MALFORMAZIONIGENITO-URINARIE

  2. MALFORMAZIONI RENALI • DI NUMERO: Agenesia renale bilaterale: assenza dei reni, associata solitamente ad altre anomalie quali l’ipoplasia polmonare, il criptorchidismo, l’agenesia testicolare. Incompatibile con la vita. Incidenza 1 su 4800 nati. Agenesia renale monolaterale: assenza di un rene, asintomatica. Incidenza 1 su 1100 nati. • DI POSIZIONE: Ectopia renale: posizione anomala di un rene, solitamente nella piccola pelvi, si può presentare in forma semplice (rene nello stesso lato) o crociata (rene nel lato opposto). Asintomatica. Incidenza 1 su 900 nati.

  3. ALTRE MALFORMAZIONI RENALI Ipoplasia renale: minore sviluppo dell’organo che appare morfologicamente e funzionalmente normale. Rene a spugna midollare (Cacchi e Ricci): Dilatazione dei tubuli collettori distali con associazione di cisti e diverticoli. Ectasia pre caliceale canalicolare caratterizzata da ectasia cistica dei dotti collettori papillari. Clinicamente asintomatica o caratterizzata da coliche renali, calcoli (ossalato di calcio o fosfato di calcio), infezioni delle vie urinarie. Ipercalciuria.

  4. RENE MULTICISTICO DEFINIZIONE Si definisce rene multicistico o displasia renale multicistica un’affezione renale più frequentemente unilaterale, non ereditaria, caratterizzata dalla presenza di cisti multiple del parenchima renale e dall’assenza o atresia dell’uretere. Essa costituisce la causa più frequente di massa addominale nel neonato, predilige il lato sinistro e il sesso maschile, interessa circa uno su 2000 nati vivi.

  5. RENE MULTICISTICO (RMc) EZIOLOGIA A tutt’oggi l’eziologia non è ancora definita. La teoria più convincente è quella che indica il mancato incontro della gemma ureterale con il blastema metanefrico come causa primaria di RMc; la teoria ostruttiva, che ha nella costante atresia dell’uretere il suo fondamento, è tuttora controversa.

  6. RENE MULTICISTICO (RMc) FISIOLOGIA-ANATOMIA PATOLOGICA Il RMc assume caratteristicamente l’aspetto di un “grappolo d’uva” a causa della presenza di numerose cisti di diversa grandezza, da pochi mm ad alcuni centimetri. Tali cisti, solitamente non comunicanti, sono separate tra loro da sottili tralci fibrosi e contengono liquido giallo citrino simile ad urina. Le dimensioni del rene sono variabili e dipendono dalla grandezza delle cisti; il peduncolo vascolare è solitamente poco sviluppato o addirittura assente. L’uretere è quasi sempre atresico.

  7. RENE MULTICISTICO (RMc) SEGNI CLINICI La diagnosi di RMc è una diagnosi pre-natale in un numero sempre più frequente di pazienti. In quest’ottica la descrizione dei segni e dei sintomi clinici, scarsi di per se stessi, ha perso ulteriormente utilità pratica. Una massa addominale palpabile non dolente è il segno clinico più frequente di RMc; infezioni urinarie ricorrenti, dolore ed ematuria sono sintomi rari e solitamente “segnali” di altre malformazioni concomitanti del rene controlaterale. .

  8. RENE MULTICISTICO (RMc) DIAGNOSI La diagnosi viene oggi solitamente formulata in utero grazie al largo impiego dell’ecografia prenatale, solitamente l’RMc diviene visibile ecograficamente verso la 28a settimana. Occasionalmente vi possono essere difficoltà dignostiche nel caso di grosse cisti che simulino una pelvi renale dilatata da ostruzione del giunto pieloureterale. In tal caso l’esecuzione di un’urografia e.v. alla nascita può risolvere ogni dubbio: infatti, all’esame urografico si assisterà alla filtrazione di mezzo di contrasto nel parenchima renale e all’accumulo nella pelvi, evento che non si verifica in un RMc. Alcuni autori consigliano, a completamento dell’iter diagnostico, di eseguire in caso di RMc sia l’urografia e.v. sia la cistografia minzionale per escludere malformazioni associate a carico dell’apparato urinario inferiore.

  9. RENE MULTICISTICO (RMc) TERAPIA L’indicazione alla rimozione chirurgica dell’RMc è a tutt’oggi dibattuta. Infatti, il rene multicistico non asportato nella maggioranza dei casi tende ad una naturale involuzione fino alla completa atresia e alla sua scomparsa. Sono state descritte alcune complicanze dovute alla non rimozione dell’RMc, ma la loro incidenza non è nota. Infezioni, dolore, ipertensione e la possibilità di una degenerazione neoplastica, sono le più frequenti. Quest’ultima, sebbene rara, costituisce per la maggioranza degli autori l’unica ma sufficiente indicazione alla nefrectomia. Nefrectomia che può avvenire sia per via tradizionale laparotomica, per via laparoscopica e per via retroperitoneoscopica (extraperitoneale).

  10. ALTRE MALFORMAZIONI RENALI Rene policistico infantile: affezione bilaterale, presenza di numerose cisti a carico della midollare e della corticale. Autosomica recessiva. Esistono 4 forme: perinatale, neonatale, infantile, giovanile, tutte caratterizzate dalla progressiva e irreversibile comparsa di insufficienza renale. Incidenza 1 su 1000 nati. Rene policistico dell’adulto: affezione ereditaria trasmessa con modalità autosomica dominante (braccio corto cromosoma 16). Presenza di numerose cisti a carico della corticale e midollare. Incidenza 1 su 1000-3000 nati. Le cisti sono derivate dall’ostruzione dei tubuli da parte di matrice extracellulare prodotta in modo abnorme. La pre-urina non viene riversata nei dotti collettori, ma si accumula nei tubuli dilatandoli. Le cisti, ingrandendosi sempre più, vanno a comprimere il parenchima adiacente, con il risultato finale di un’insufficienza renale ingravescente. La sintomatologia compare dopo il secondo, terzo decennio di vita con presenza di dolore al fianco, ematuria, pielonefriti, ipertensione arteriosa. A 5-10 anni dalla diagnosi la stragrande maggioranza dei pazienti è in fase uremica e necessita di trattamento dialitico o trapianto di rene. Fusione renale/rene a ferro di cavallo: Fusione dei due reni uniti da un istmo a livello del polo inferiore. Incidenza 1 su 1000.

  11. MALFORMAZIONI DELL’URETERE Atresia ureterale: anomalia molto rara, assenza dell’abbozzo ureterale o presenza di un uretere rudimentale che termina a fondo cieco. Duplicazione ureterale: si può presentare in due forme: incompleta; completa, caratterizzata dalla presenza di due ureteri che sboccano in vescica con due meati ureterali; il meato che drena il segmento renale superiore sbocca in vescica in sede inferiore e mediale rispetto all’orifizio dell’uretere che drena il segmento inferiore (legge di Weigert-Meyer). Incidenza 0,9 su 100. Ureterocele: dilatazione cistica del tratto terminale dell’uretere (intravescicale, sottomucoso).

  12. MALFORMAZIONI DELL’URETERE Ectopia ureterale: spesso associata all’ureterocele e alla duplicazione ureterale. È caratterizzata dalla posizione anomala dello sbocco ureterale. Nell’uomo l’ectopia è sempre prossimale allo sfintere striato uretrale, quindi non si ha incontinenza. Nella donna l’ectopia si può localizzare in qualsiasi segmento dell’uretra, vagina o perineo. Megauretere: caratterizzato dalla presenza di un uretere notevolmente dilatato. Si distingue: megauretere refluente, ostruttivo, non ostruttivo e non refluente. Uretere retrocavale: l’uretere è caratterizzato da un percorso anomalo. Esso incrocia la vena cava inferiore a livello della pelvi renale (primo tipo) o a livello di L3 (secondo tipo).

  13. MALFORMAZIONI DELLA VESCICA Estrofia vescicale: difetto della parete anteriore addominale e del cingolo pelvico attraverso il quale si esteriorizza la vescica (priva della propria parete anteriore e in parte delle pareti laterali. All’interno della placca estrofica vescicale si aprono i meati dai quali l’urina giunge direttamente all’esterno. Incidenza 1 su 100.000 nati. Persistenza dell’uraco: mancata obliterazione dell’allantoide. Si crea un dotto tra vescica e ombelico con passaggio di urina. Ano imperforato: mancato o incompleto sviluppo del setto urorettale che separa la porzione urinaria della cloaca da quella intestinale.

  14. MALFORMAZIONI DEL PENE E DELL’URETRA Apenia: assenza congenita del pene. L’uretra sbocca nel perineo o nel lume rettale. Micropenia: presenza di pene morfologicamente normale ma la cui lunghezza risulti inferiore di 2,5 deviazioni standard a quella di riferimento, associato alla presenza di borsa scrotale e dei testicoli. Duplicazione uretrale: presenza di doppia uretra. Può essere associata a doppia vescica Megalouretra: abnorme dilatazione dell’uretra. Si può presentare sia solo in fase minzionale sia in maniera permanente. Quest’ultima anomalia più grave è associata ad agenesia dei corpi cavernosi e del corpo spongioso, e spesso è associata ad altre anomalie (malformazioni anorettale e Prune-Belly Syndrome).

  15. MALFORMAZIONI DEL PENE E DELL’URETRA Valvole uretrali posteriori: presenza di pliche mucose a nido di rondine dell’uretra prostatica situate di norma distalmente al veru montanum e prossimamente allo sfintere uretrale esterno. Responsabili di ostruzione al flusso urinario di grado variabile. Ipospadia: sviluppo incompleto dell’uretra anteriore con presenza del meato uretrale ventralmente e prossimamente rispetto al glande. Si distinguono diverse forme: ipospadia glandulare, coronale, peniena, peno-scrotale e perineale. Incidenza 1 su 3000. Epispadia: complessa malformazione dell’uretra e dei corpi cavernosi nel maschio, del clitoride nella femmina e del cingolo pelvico. Caratterizzata dalla posizione dorsale dell’uretra. Incidenza 1 su 120.000 maschi e 1 su 500.000 femmine.

  16. MALFORMAZIONI TESTICOLARI Ectopia testicolare: presenza di un testicolo in posizione anomala, diversa dalla normale via seguita dalla gonade durante la sua discesa nel corso della sviluppo. Criptorchidismo: arresto della discesa del testicolo durante il suo sviluppo. Poliorchidismo: presenza di un testicolo soprannumerario. Anorchidismo: assenza di entrambi i testicoli. Monorchidismo: presenza di un solo testicolo.

  17. REFLUSSO VESCICO-URETERALE (RVU) DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE Si definisce reflusso vescico-ureterale il passaggio retrogrado d’urina dalla vescica nell’uretere fin verso le cavità renali. Possiamo classificare l’RVU in RVU primitivo e RVU secondario. Nel primo caso il reflusso è conseguenza di una malformazione o di un ritardato sviluppo della giunzione ureterovescicale, nel secondo il difetto è secondario a fattori patologici acquisiti a carico della vescica, dell’uretere o della giunzione vescico-ureterale. L’RVU è l’uropatia più frequente in età pediatrica, colpisce maggiormente il sesso femminile (60% circa) e la razza bianca e ha tendenza alla bilateralità (53%). Possibile la familiarità.

  18. REFLUSSO VESCICO-URETERALE (RVU) EZIOLOGIA Il reflusso primitivo deriva da un’anomalia di sviluppo dell’abbozzo ureterale, per cui si crea una giunzione vescico-ureterale incompetente che favorisce la risalita dell’urina dalla vescica all’uretere fin verso la pelvi. Il reflusso secondario deriva nella maggior parte dei casi da un ostacolo, anatomico o funzionale, congenito o acquisito, allo svuotamento vescicale; tra le cause più frequenti le valvole dell’uretra posteriore e l’ureterocele.

  19. REFLUSSO VESCICO-URETERALE (RVU) FISIOLOGIA-ANATOMIA PATOLOGICA Fisiologicamente il passaggio dell’urina dalla vescica nell’uretere è impedito dalla giunzione vescico-ureterale (GVU), complesso anatomico costituito dal tratto prevescicale, intramurale e sottomucoso dell’uretere terminale, dal trigono vescicale superficiale e profondo dalla guaina del Waldayer e dalla base vescicale. L’integrità anatomica delle strutture di questo meccanismo è alla base della continenza della giunzione, meccanismo che è principalmente di tipo passivo.

  20. REFLUSSO VESCICO-URETERALE (RVU) FISIOLOGIA-ANATOMIA PATOLOGICA La pressione intravescicale infatti schiaccia il tratto sottomucoso dell’uretere, impedendo così la risalita dell’urina; una componente attiva è inoltre assicurata dalla contrazione delle fibre muscolari lisce del trigono superficiale, che determinano la chiusura del meato ureterale agendo sulle adiacenti fibre muscolari dell’uretere. Alla luce di queste precisazioni è facile intuire come qualsiasi “malposizionamento” o qualsiasi alterata morfologia di queste componenti possa rendere la giunzione incompetente.

  21. REFLUSSO VESCICO-URETERALE (RVU) SEGNI CLINICI Nella maggioranza dei casi il primo segno clinico di RVU è l’infezione delle vie urinarie, caratterizzata da febbre preceduta da brividi. Negli RVU di grado elevato caratteristica è la minzione in due tempi: durante la minzione parte dell’urina presente in vescica refluisce nell’uretere dilatato; da qui, al termine dell’aumento pressorio caratteristico della fase minzionale, refluirà nuovamente in vescica provocando così un nuovo stimolo urinario. Se l’uretere non è dilatato il reflusso può distenderlo acutamente, provocando così segni e sintomi tipici della colica reno-ureterale.

  22. REFLUSSO VESCICO-URETERALE (RVU) DIAGNOSI La cisto-uretrografia minzionale è l’esame di scelta nei casi si sospetti un RVU. Essa consente infatti di stabilire la presenza e il grado del reflusso ed eventualmente di escludere anomalie a carico della vescica e dell’uretere. L’urografia e.v. consente una valutazione dell’apparato urinario alto; l’ecografia e la scintigrafia renale andrebbero utilizzati in casi selezionati.

  23. REFLUSSO VESCICO-URETERALE (RVU) Classificazione del RVU Sulla base dell’esame cistografico classifichiamo il RVU in cinque gradi: I. grado, reflusso in uretere sottile e incompleto: il mezzo di contrasto radiopaco refluisce dalla vescica all’uretere, non raggiungendo la pelvi e i calici renali. II. grado, reflusso completo con uretere e pelvi non dilatati. III. grado, reflusso completo con modica dilatazione ureterale e pelvica. IV. grado, reflusso completo con cospicua dilatazione. V. grado, reflusso completo con massima dilatazione e tortuosità dell’uretere e importante idronefrosi.

  24. REFLUSSO VESCICO-URETERALE (RVU) TERAPIA È medica e chirurgica. Generalizzando possiamo affermare che un RVU primitivo di I e II grado senza danno renale dovrebbe essere trattato con terapia antibiotica per evitare il danno renale conseguente a infezioni ricorrenti. Nel caso di fallimento, di un aggravamento del danno e in tutti gli altri casi la terapia di scelta è quella chirurgica. L’intervento chirurgico consiste nel reimpianto del tratto terminale dell’uretere con tecniche antireflusso. Alternativa alla chirurgia è l’iniezione endoscopica endovescicale e sottoureterale di sostanze endogene che possano creare un supporto dell’uretere intravescicale, ottenendo cioè l’allungamento del tratto intravescicale dell’uretere (la parte attiva del meccanismo antireflusso). Sono state utilizzate diverse sostanze quali il Teflon, il collagene bovino, ecc.

  25. MALATTIA DEL GIUNTO PIELO-URETERALE o IDRONEFROSI PRIMITIVA DEFINIZIONE Per idronefrosi primitiva intendiamo ogni dilatazione della pelvi e dei calici renali causata da un’anomalia congenita localizzata alla giunzione pielo-ureterale. Essa è una delle anomalie congenite più frequenti. L’incidenza è di 1 su 1500 neonati. Colpisce maggiormente il sesso maschile (rapporto maschi/femmine 2-3/1) e il lato sinistro.

  26. MALATTIA DEL GIUNTO PIELO-URETERALE o IDRONEFROSI PRIMITIVA EZIOLOGIA L’eziologia dell’IP non è chiara: si suppongono errori durante lo sviluppo embriologico con conseguenti anomalie anatomiche e funzionali. FISIOLOGIA-ANATOMIA PATOLOGICA Distinguiamo forme di ostruzione meccanica e forme funzionali dell’IP. Ostruzioni meccaniche: – Da anomalie intrinseche, vere e proprie stenosi dovute a difetti degli strati muscolari della giunzione. – Da anomalie estrinseche, nelle quali il giunto è compresso ab estrinseco da un peduncolo vascolare anomalo che proviene dal polo inferiore renale. Ostruzioni funzionali. Premessa fisiologica per la comprensione delle cause funzionali (le più frequenti) è che il GPU rappresenti il segmento di passaggio dell’attività peristaltica pielica in attività peristaltica ureterale; l’alterazione della normale coordinazione motoria tra questi due segmenti creerebbe un’ostruzione, rendendo così difficoltoso il transito dell’urina.

  27. MALATTIA DEL GIUNTO PIELO-URETERALE o IDRONEFROSI PRIMITIVA SEGNI CLINICI Le infezioni delle vie urinarie sono i sintomi più frequenti nei neonati. Nei bambini con più di un anno prevalgono i sintomi gastrointestinali (nausea, vomito, inappetenza e ritardo della crescita), mentre nel bambino più grande il sintomo d’esordio è spesso rappresentato da una colica renale con o senza ematuria. In tutti i casi è possibile apprezzare alla palpazione una massa addominale.

  28. MALATTIA DEL GIUNTO PIELO-URETERALE o IDRONEFROSI PRIMITIVA DIAGNOSI Ecografia, urografia e.v. e cistografia sono indagini fondamentali che devono rappresentare il normale iter diagnostico della malattia giuntale. La scintigrafia renale (statica o dinamica con diuretico) consente di valutare l’eventuale compromissione della funzionalità renale.

  29. MALATTIA DEL GIUNTO PIELO-URETERALE o IDRONEFROSI PRIMITIVA La variante anatomica più frequente è la presenza di arterie renali sovrannumerarie (due o più arterie per un solo rene; ne sono descritte fino ad un massimo di cinque). Le vene renali sovrannumerarie sono molto più rare specialmente le vene polari • Le arterie renali sovrannumerarie sono leggermente più frequenti a sinistra e raggiungono direttamente l’ilo renale o direttamente il parenchima di un polo, più frequentemente il superiore. Le arterie soprannumerarie del polo inferiore di entrambi i lati possono incrociare anteriormente la via urinaria causandone una ostruzione estrinseca

  30. MALATTIA DEL GIUNTO PIELO-URETERALE o IDRONEFROSI PRIMITIVA TERAPIA È chirurgica: esistono diverse tecniche che consistono nella rimozione del giunto pielo-ureterale e nella successiva anastomosi all’uretere. Esistono anche tecniche endoscopiche che sono però gravate, in alcune casistiche, da un maggior tasso di recidiva.

  31. CRIPTORCHIDISMO DEFINIZIONE Per criptorchidismo intendiamo l’arresto della discesa del testicolo e il suo posizionamento lungo la via che normalmente segue nella sua discesa durante lo sviluppo. Il criptorchidismo è la più frequente anomalia dello sviluppo genitale maschile. Alla nascita circa il 3,4% dei bambini ha testicoli criptorchidi (30% in caso di nati prematuri), ma nella metà dei casi i testicoli discendono nello scroto durante il primo mese di vita. Si definisce portatore di criptorchidismo chi a 6-12 mesi di vita ha ancora uno o entrambi i testicoli non discesi nel sacco scrotale (0,5-1%). Per ectopia testicolare intendiamo invece il posizionamento del testicolo in una sede anatomica diversa (inguinale superficiale, femorale, crurale, peniena, pelvica).

  32. CRIPTORCHIDISMO EZIOLOGIA Il criptorchidismo ha un’eziopatogenesi complessa, tanto che i molteplici meccanismi con cui il testicolo si forma e discende poi nello scroto non sono del tutto ben spiegati. Riconosciamo per semplicità tre fattori che ostacolano questa discesa: ormonali, meccanici, genetici. Fattori ormonali: in pazienti criptorchidi sono state riscontrate alterate concentrazioni di testosterone, ormone fondamentale per la discesa del testicolo, oltre ad alterazioni dell’FSH e dell’LH. Fattori meccanici: interverrebbero in un 50% dei casi; si tratta di ostacoli anatomici quali l’incompleta persistenza del dotto peritoneo vaginale, il canale inguinale obliterato, la brevità degli elementi del funicolo spermatico. Fattori genetici: in alcuni casi il criptorchidismo si accompagna ad alterazioni cromosomiche, soprattutto nella sindrome di Klinefelter (47XXY) e nelle sindromi con corredo cromosomico 48 XXXY.

  33. CRIPTORCHIDISMO FISIOLOGIA-ANATOMIA PATOLOGICA Nel 70% circa dei casi il testicolo non disceso è normale per forma, volume, trofismo, connessione didimo-epididimaria; nel 26% circa sono presenti anomalie della via seminale e in un 4% è presente un’agenesia. Importanti sono le alterazioni istologiche che si riscontrano nel criptorchidismo; esse sono correlate al tempo di permanenza del testicolo al di fuori del sacco scrotale. Nel primo anno si osservano solo modificazioni a carico delle cellule del Leydig, mentre a partire dal secondo compaiono anomalie strutturali dei tubuli seminiferi, del numero e del volume degli spermatozoi. Il danno istologico si aggrava così progressivamente, raggiungendo col tempo alterazioni irreversibili sia della funzione endocrina (produzione di ormoni) che di quella esocrina (spermatozoi).

  34. CRIPTORCHIDISMO CLASSIFICAZIONE E DIAGNOSI Una prima distinzione clinica avviene tra il testicolo palpabile (92% dei casi) e testicolo non palpabile(8%). Nel primo caso si distinguerà tra un testicolo retrattile, ritenuto ed ectopico. Nel secondo caso tra testicolo agenesico o presente. Il testicolo di tipo retrattile può essere facilmente portato nello scroto, nel quale permane per qualche tempo. Il testicolo di tipo ritenuto è situato lungo la via normale di migrazione al di fuori dell’anello inguinale interno, rendendo così possibile l’esplorazione manuale.

  35. CRIPTORCHIDISMO CLASSIFICAZIONE E DIAGNOSI Il testicolo palpabile di tipo ectopico è al di fuori della normale via di migrazione. Esistono 5 ectopie topografiche più requenti: • l’inguinale soprafasciale • la perineale • la pubo-peniena • la crurale (nel tiangolo dello Scarpa) • la crociata (ambedue i testicoli si trovano nello stesso emiscroto). In queste situazioni la diagnosi di criptorchidismo è essenzialmente clinica e si fonda sull’esame obiettivo.

  36. CRIPTORCHIDISMO Nel caso invece di testicolo non palpabile l’ecografia addomino-pelvica e la risonanza magnetica possono contribuire alla localizzazione del testicolo; nei casi in cui queste due metodiche falliscano si deve ricorrere a tecniche cruente d’esplorazione (laparoscopia). Per un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico, soprattutto nei casi di criptorchidismo bilaterale, sono sempre necessari l’identificazione del cariotipo e il dosaggio degli ormoni sessuali e delle gonadotropine.

  37. CRIPTORCHIDISMO TERAPIA La terapia può essere sia medica (ormonale) che chirugica. Terapia medica: possiamo affermare che, tranne che in caso di pervietà del dotto peritoneo vaginale (DPV), la terapia ormonale debba essere sempre tentata. Si utilizzano di norma cicli di HCG e di LH-RH. Il razionale di tale terapia si fonda sul presupposto che questi due ormoni giochino un ruolo importante nel favorire la “discesa” del testicolo. L’indicazione a tale metodica è data soprattutto dal testicolo retrattile e dal testicolo ritenuto in posizione inguinale bassa.

  38. CRIPTORCHIDISMO TERAPIA Terapia chirurgica: va impiegata nei casi di fallimento della terapia medica e in tutti gli altri casi. Riguardo al tempo dell’intervento chirurgico, attualmente tutti gli autori concordano nel non procrastinarlo oltre i 24 mesi d’età. Chirurgia del testicolo palpabile: prevede una soluzione in tempo unico, con la classica tecnica dell’orchidopessi. Chirurgia del testicolo non palpabile: secondo il trofismo della gonade e della posizione si aprono diverse possibilità terapeutiche: dall’orchidopessi con eventuale funicololisi (isolando e “rettificando” i vasi e il dotto deferente) fino a tecniche di microchirurgia (es. secondo Fowler e Stephens con anastomosi tra l’arteria spermatica interna e la deferenziale).

  39. CRIPTORCHIDISMO PROGNOSI Vanno considerati lo sviluppo degli organi sessuali, la fertilità e la degenerazione neoplastica. Nel caso di criptorchidismo monolaterale nella maggioranza dei casi non vi sono alterazioni dello sviluppo sessuale, mentre nel caso di ipoplasia o agenesia bilaterale lo sviluppo e la funzione sessuale dovranno essere supportati da terapia ormonale. Per quanto riguarda la fertilità le percentuali di sterilità in pazienti con criptorchidismo variano dal 30-50% nelle forme monolaterali e salgono fino oltre il 70% nelle bilaterali. Il criptorchidismo ha un ruolo importante nell’eziopatogenesi delle neoplasie testicolari, circa il 12% dei tumori testicolari riscontrati in età adulta sono correlati a degenerazione neoplastica di una gonade ritenuta o già sottoposta ad orchidopessi.

  40. URETEROCELE (UC) DEFINIZIONE Intendiamo per ureterocele (UC) la dilatazione cistica del tratto terminale, intravescicale, sottomucoso dell’uretere. Esso si riscontra più frequentemente nel sesso femminile (rapporto 7 a 1) ed è bilaterale nel 10% dei casi. Si definisce ortotopico se è regolarmente situato alla base della vescica, ectopico se localizzato sul collo vescicale o nell’uretra. Classifichiamo l’UC di tipo adulto con sistema pieloureterale singolo o infantile con un sistema duplice. In tal caso va precisato che il distretto ureterale responsabile dell’ureterocele è tributario sempre del distretto renale superiore ed è sempre situato distalmente allo sbocco dell’uretere “gemello” omolaterale.

  41. URETEROCELE (UC) EZIOLOGIA A tutt’oggi non è ancora definita l’eziologia dell’ureterocele. L’ureterocele potrebbe essere secondario ad una stenosi del meato ureterale, oppure ad un’anomalia di sviluppo del dotto di Wolff durante l’embriogenesi. SEGNI CLINICI Nei casi d’UC in sistema duplice il quadro clinico è caratterizzato da infezione delle vie urinarie, febbre e ritardo di accrescimento. Nei casi di UC di piccole dimensioni i disturbi minzionali (disuria, pollachiuria) sono i sintomi più frequenti e possono manifestarsi anche durante la seconda o terza infanzia.

  42. URETEROCELE (UC) DIAGNOSI L’ecografia è molto precisa nel definire la diagnosi e riconoscere un UC già in epoca prenatale. L’urografia e.v. è fondamentale per il completamento della diagnosi, e consente inoltre di valutare anche l’apparato urinario alto. La cisti ureterocelica appare come un “minus” di riempimento vescicale. Utile anche la cistografia minzionale che permette inoltre di evidenziare eventuali reflussi vescicoureterali associati. La scintigrafia renale e la cistoureteroscopia, a completamento delle indagini sopra elencate consentono rispettivamente uno studio funzionale e morfologico più accurato.

  43. URETEROCELE (UC) TERAPIA Il trattamento è sempre chirurgico; per via laparotomica o endoscopica. Nel caso di UC in doppio distretto si rimuoverà la sacca ureterocelica, si ricostruirà il pavimento vescicale e, secondo la presenza o meno di un distretto renale funzionante, si procederà al reimpianto ureterale in vescica o all’anastomosi fra i due distretti o all’asportazione dell’uretere con eminefrectomia. Un’alternativa all’intervento chirurgico tradizionale è quella del trattamento decompressivo endoscopico dell’UC attraverso l’incisione della cisti ureterocelica, nel caso di UC in distretto pielouretrale singolo.

  44. VALVOLE DELL’URETRA POSTERIORE DEFINIZIONE Si definiscono valvole dell’uretra posteriore (VUP) formazioni dell’uretra posteriore maschile costituite da epitelio di transizione e da tessuto connettivo situate distalmente al veru montanum e prossimalmente allo sfintere uretrale esterno. Conformate a nido di rondine con la concavità rivolta verso la vescica esse ostacolano più o meno gravemente il flusso uretrale e di conseguenza lo svuotamento vescicale. Costituiscono la forma più frequente di malformazione ostruttiva maschile, e rappresentano la causa più comune d’insufficienza renale in età pediatrica. Colpiscono tra l’1/8.000 e l’1/25.000 dei nati vivi.

  45. VALVOLE DELL’URETRA POSTERIORE EZIOLOGIA A tutt’oggi sconosciuta; la teoria più accreditata è quella che indica la presenza delle valvole secondaria ad un’anomala inserzione del dotto mesonefrico nella cloaca, errore che si verificherebbe nelle primissime settimane di vita intrauterina.

  46. VALVOLE DELL’URETRA POSTERIORE CLASSIFICAZIONE-FISIOLOGIA-ANATOMIA PATOLOGICA Le VUP sono classificate in tre tipi: Tipo I: originano dal veru montanum e si sviluppano in basso e lateralmente, incontrandosi sulla parete anteriore dell’uretra e costituendo così un terzo lembo. Tipo II: originano dal veru montanum e si sviluppano verso l’alto inserendosi sul collo vescicale. Tipo III: sono costituite da un diaframma completo forato al centro. L’evento patogenetico fondamentale è dato dall’ostruzione al deflusso d’urina durante la minzione. Per superare l’ostacolo il detrusore è costretto a compiere un superlavoro che comporta un’ipertrofia che è direttamente proporzionale al grado di ostruzione; si creano nel tempo forti aumenti della pressione detrusoriale che si trasmette lungo l’apparato urinario con idronefrosi e conseguente danno renale.

  47. VALVOLE DELL’URETRA POSTERIORE

  48. VALVOLE DELL’URETRA POSTERIORE SEGNI CLINICI Essi sono strettamente correlati al grado di ostruzione: da una modesta disuria, fino all’insufficienza renale; frequente anche il riscontro di cistiti, pielonefriti e setticemie. DIAGNOSI Megavescica, idroureteronefrosi e ipertrofia della parete vescicale sono i segni ecografici che fanno sospettare la presenza di VUP già in epoca pre-natale. Altre indagini diagnostiche, naturalmente da eseguire in epoca post-natale sono: la cistografia con fase minzionale e l’urografia. La scintigrafia renale e la cistoureteroscopia completano le indagini sopra elencate, consentendo uno studio funzionale del parenchima renale e morfologico delle valvole e della vescica.

  49. VALVOLE DELL’URETRA POSTERIORE TERAPIA La disostruzione per via endoscopicadell’uretra è il primo atto chirurgico per la cura delle VUP. Esso spesso rappresenta nella maggior parte dei casi il trattamento più efficace e risolutivo. Nei casi di grave compromissione delle vie urinarie e della funzionalità renale, è opportuno procedere a derivazione urinaria tramite nefrostomia fino alla risoluzione dell’idronefrosi e al ripristino della funzione renale. Infine in caso di persistenza del reflusso vescico-ureterale si procede al reimpianto degli ureteri.

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